Con la campagna referendaria partita a razzo ed un primo confronto televisivo, quello su La7, nel quale finalmente si è cominciato a sentir parlare di contenuti, ci tocca prendere nota di altre due prese di posizione “esterne” sull’esito del referendum.
Alle varie agenzie di rating si era aggiunta nel weekend la voce pesantissima dell’OCSE che, attraverso la capo-economista Catherine Mann, indicava nel no al referendum un problema per il futuro del paese. Oggi arrivano le dichiarazioni al Financial Times dell’amministratore delegato di Salini Impregilo. Le parole sono importanti ed allora eccovi il virgolettato così come riportato dal sito milanofinanza.it
Siamo orgogliosi di portare la bandiera italiana nel mondo. Ma se la situazione politica si evolvesse nella direzione sbagliata, a quel punto con un’ampia parte del settore che andrebbe altrove ci sarebbe una situazione da valutare seriamente
E per direzione sbagliata ecco cosa si intende:
un modo che metterebbe l’Italia nell’impossibilità di avere un governo, di tenere elezioni, senza avere la possibilità di avere un nuovo governo sufficientemente affidabile
Ora è un peccato che il referendum non ponga all’esame del popolo – teoricamente sovrano – la legge elettorale ma la riforma di alcune “strutture” nelle quali si esercita il potere attribuito dai cittadini ai loro rappresentanti. L’impossibilità di avere un governo, di tenere elezioni (sic!) , di avere un governo sufficientemente affidabile sono malanni che dipendono in larga parte da una pessima legge elettorale. Ma, guarda caso, proprio la legge elettorale è in questo momento messa in discussione da chi l’ha portata in parlamento e votata. Ipoteticamente anche con la vittoria del si potremmo essere costretti a votare con una legge diversa dall’italicum nel caso in cui la Corte Costituzionale la ritenga una versione 2.0 del Porcellum.
Risultano economicamente più interessanti e mirate le osservazioni dell’OCSE. Secondo l’interpretazione fatta dall’organismo parigino, le riforme sono da considerarsi fondamentali per la crescita del paese in quanto tendono a rendere più stabili i governi, a velocizzare i passaggi legislativi ed a ridurre le contrapposizioni tra stato centrale e regioni. E’ davvero così? Possono delle riforme costituzionali creare ricchezza per un paese? O servono solo per far attecchire meglio gli investimenti esteri limitando il principio di sussidiarietà? Domande a cui ognuno di noi, senza demagogie e faziosità, dovrebbe rispondere per arrivare ad un voto consapevole e non teleguidato.