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Le pensioni, Marte e quel piccolo dettaglio: il metodo a ripartizione

Il tema delle pensioni pare essere la quintessenza della polemica politica. Non passa governo che non scoppi un’accesa discussione su quanto, come, dove e quando andare in pensione in questo paese. Purtroppo ci si scorda troppo spesso che la materia previdenziale si basa su una noiosissima complicazione: il metodo a ripartizione. 

Com’è strutturato il bilancio dell’INPS? Semplificando al massimo, possiamo dire che dal lato delle entrate ci sono i contributi versati dai lavoratori attivi, dai datori di lavoro e dai lavoratori autonomi e professionisti vari. Dall’altro lato ci sono le uscite, la cui voce più corposa sono gli assegni pensionistici.

Perchè l’INPS abbia lunga vita, garantendo la corresponsione degli assegni pensionistici, è necessario che sia sia soddisfatta una semplice regola: le entrate devono essere almeno pari alle uscite. Come si raggiunge questo tipo di equilibrio? Ci sono due modi per farlo.

La prima modalità è chiamata a capitalizzazione. In sostanza l’ente raccoglie i contributi versati dagli iscritti e crea delle riserve, rivalutate annualmente. Con il montante (ossia la somma di tutti i versamenti rivalutati) si farà fronte all’erogazione dell’assegno previdenziale. In uno schema di questo genere possiamo dire che ogni iscritto, con i propri contributi, si fa carico della propria pensione futura.

Esiste però un’altra modalità che si chiama a ripartizione. La ripartizione prevede che i contributi raccolti nel corso dell’anno (o dell’esercizio, per essere più precisi) vengano utilizzati per pagare gli assegni pensionistici dovuti nel medesimo arco temporale. In uno schema di questo tipo le pensioni pagate nell’anno X, corrispondono ai contributi versati dai lavoratori attivi nello stesso anno X. Per chi lavora nell’anno X la pensione sarà pagata dai lavoratori attivi futuri dell’anno X+N e seguenti.

Non è dato a sapere come funzioni il sistema pensionistico su Marte , purtroppo in Italia il metodo utilizzato è quello a ripartizione e questo implica due cose:

  1. esiste un patto di solidarietà intergenerazionale. I lavoratori pagano con i loro contributi gli assegni dei pensionati di oggi. Un patto nel nome di una solidarietà collettiva che aveva visto i pensionati di oggi pagare le pensioni ai pensionati di ieri.
  2. perchè la barca resti a galla è necessario che la quota di popolazione che versa contributi sia superiore alla quota di popolazione che riceve una pensione.

Le motivazioni che hanno spinto all’adozione del metodo a ripartizione sono molteplici. Una di queste è senza dubbio legata al sistema di calcolo dell’assegno pensionistico. Il sistema retributivo, in vigore sino alla fine del 2012, prevedeva che l’assegno fosse calcolato sull’ultimo stipendio, slegandolo dai contributi effettivamente versati.

Il metodo a ripartizione funziona alla grande fintanto che la pressione contributiva e fiscale rimane contenuta ed il sistema economico cresce in maniera stabile.  In fasi di crescita economica stentata e bassa occupazione, la quota di reddito prodotto, prelevata per finanziare le prestazioni pensionistiche, si fa sempre più elevata sino a diventare insostenibile.

Altro aspetto. Come detto prima, la barca galleggia se il numero di lavoratori attivi supera quello dei pensionati. Questo implica un’altra cosa: che il numero dei cittadini in età lavorativa deve essere superiore al numero di cittadini in età pensionabile. È la variabile demografica, uno dei pilastri su cui si basa il patto intergenerazionale del metodo a ripartizione.

Altro fattore che incide sui bilanci dell’ente previdenziale è la durata della prestazione pensionistica. Più a lungo si corrisponde una pensione e più si amplia la platea di pensionati che ogni anno “battono cassa” presso l’INPS.

Anche qui non sappiamo come funzioni su Marte, i dati italiani ci dicono che:

  • La popolazione italiana, grazie a Dio, vive sempre più a lungo
  • La popolazione italiana, purtroppo, invecchia sempre di più (diminuiscono i minori di 14 anni ed aumentano gli over 65, l’età media è arrivata a 45 anni – ISTAT 2017)
  • La crescita occupazionale è sempre più legata a contratti a termine; questo può portare ad una contribuzione a singhiozzo da parte del lavoratore.
  • L’Italia cresce ad un ritmo di poco superiore all’1% e la pressione fiscale si attesta attorno al 42%

La combinazione di tutto queste circostanze rischia di mettere in serio pericolo la tenuta del sistema pensionistico. Negli ultimi anni, per riequilibrare il sistema, si è agito sia dal lato del calcolo delle prestazioni previdenziali, sia dal lato della durata del periodo contributivo. Nel concreto abbiamo assistito al passaggio definitivo al metodo di calcolo contributivo (la pensione è calcolata solo in base ai contributi effettivamente versati) ed ad un progressivo innalzamento dell’età pensionabile, agganciandola ad un concetto controverso: l’aspettativa di vita.

Allungare il periodo medio di contribuzione ed accorciare il periodo medio di godimento della prestazione previdenziale non bastano, serve il mantenimento dell’equilibrio demografico (lavoratori attivi e pensionati) e favorire le condizioni per una crescita economica ed occupazionale stabili.

 

 

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