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Recessione e deflazione spaventano i mercati

Sonni agitati per i mercati finaziari, concetti come recessione e deflazione tornano ad affollare i report degli analisti. Facciamo il punto della situazione con i dati che abbiamo.

Negli USA la settimana si è aperta con i dati sull’ISM manifatturiero di settembre. L’indice che misura gli ordini dei direttori acquisti delle aziende statunitensi, oltre a rimanere sotto la soglia dei 50 (soglia che divide l’area di contrazione dell’economia da quella di espansione, sopra i 50), ha segnato il peggior livello da dieci anni a questa parte, 47,8%.

Successivamente, sono uscite anche le prime stime sul PIL del 3° trimestre. In media la crescita tendenziale dovrebbe assestarsi al 2%, un livello che al momento permetterebbe di parlare ancora di rallentamento ma che potrebbe comportare i primi problemi al mercato del lavoro. Per questo motivo i dati che verranno diffusi venerdì sullo stato dell’occupazione americana a settembre saranno molto importanti.

Attualmente le probabilità di una recessione negli USA per il prossimo anno viene data dagli economisti di Bloomberg al 25%. La stagione delle trimestrali delle aziende americane, che sta per aprirsi, rappresenterà il vero punto di svolta. Una volta raccolti tutti questi dati, la FED dovrà decidere se, come molti pensano, effettuare subito ad ottobre un altro taglio ai tassi di riferimento.

I conti del terzo trimestre si annunciano dolorosi anche in Europa. Le società inserite nell’Indice EuroStoxx 600 dovrebbero annunciare, mediamente, profitti in calo dell’1,9%. Calo che segue quello verificatosi nei due trimestri precedenti e che certifica la debolezza del vecchio continente.

Del resto tutti gli indicatori macro volgono al peggio. Il manifatturiero tedesco ed italiano, secondo l’indice PMI, sono in zona contrazione mentre quello francese rischia di arrivarci a breve. L’indice finale IHS Markit Pmi manifatturiero, da 47 di agosto, è diminuito a 45,7 punti ed ha raggiunto il livello più basso da ottobre 2012. Con una domanda interna debole, certificata anche da un’inflazione troppo distante dal target BCE, sull’Europa rischiano, poi, di pesare come macigni due date di ottobre: il 18 ed il 31. Il 18 ottobre dovrebbero scattare i 7,5 miliardi di dollari di dazi “autorizzati” dalla WTO sui beni UE esportati negli USA. Il 31 potrebbe essere il giorno dell’Hard Brexit, anche se si farà probabilmente di tutto per cercare di evitarla. Due colpi durissimi.

Ed è proprio la WTO a darci una visione globale del problema. Nei giorni scorsi il suo outlook sul commercio internazionale è stato rivisto, al ribasso, per la terza volta nel 2019. Il volume degli scambi commerciali mondiali crescerà per quest’anno dell’1,9%, dal 2,7% stimato ad aprile (nel 2018 la previsione era un +3%). I dazi USA all’UE e la Hard Brexit potrebbero peggiorare ulteriormente le stime, facendo passare alla storia il 2019 come l’anno della “glaciazione” del commercio internazionale.

Ma nel titolo parlavamo di recessione e deflazione. Se il rallentamento dell’economia mondiale è nei fatti, un altro fattore rischia di complicare il quadro: il livello dei prezzi; e più precisamente la loro tendenza a scendere nel tempo. In settimana sono arrivate notizie non confortanti in tal senso. In Corea del Sud i prezzi al consumo sono calati dello 0,3% su base annua a settembre, mentre quelli alla produzione sono in costante flessione da luglio di quest’anno. In Australia la Banca Centrale ha portato i tassi di interesse al proprio minimo storico (+0.75%) e continuerà ad agire in presenza di ulteriori segnali di indebolimento della domanda. In Europa l’inflazione a settembre è scesa sotto la soglia dell’1% e non accadeva dal 2006.

La settimana non è finita ed i timori di un possibile arrivo del binomio recessione e deflazione potrebbero essere irrobustiti da dati non positivi sul fronte del mercato del lavoro americano. Sarà un venerdì, domani, da cerchiare in rosso.

Foto di Keli Black

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