Oggi a Washington è prevista la cerimonia di firma del documento che sancisce la prima fase dell’accordo USA Cina. Il presidente Donald Trump ed il vice di Xi Jinping, Liu He, sveleranno l’intero contenuto delle 86 pagine. Sarà davvero un grande giorno come sostengono, con motivazioni diverse, statunitensi e cinesi?
Il giorno è arrivato. Oggi verrà apposta la firma sull’accordo USA Cina che dovrebbe porre fine a due anni di guerra commerciale e gettare le basi per un negoziato più ampio tra le due superpotenze. Il testo integrale verrà svelato solo oggi, ma le anticipazioni hanno sostanzialmente chiarito quali siano i punti di convergenza faticosamente trovati dalle parti.
Gli Stati Uniti congelano nuovi aumenti tariffari e dimezzeranno i dazi su 120 miliardi di dollari di beni cinesi importati. In cambio la Cina si impegnerà ad avviare riforme strutturali dell’economia e ad aumentare gli acquisti di beni americani per 200 miliardi di dollari in due anni. Stando a quanto riportano molti giornali, nella lista della spesa cinese dovrebbero esserci prodotti agricoli, petrolio e gas naturale.
Sin qui quello che si sa dell’accordo USA Cina in procinto di essere siglato, rigorosamente a beneficio delle telecamere. La vigilia è stata caratterizzata dalle legittime dichiarazioni ad uso interno. Dagli USA si è sottilineato il fatto che molti dei dazi adottati dall’amministrazione Trump rimarranno in vigore sino alle elezioni di novembre, a monito e minaccia verso la Cina nel caso di mancato rispetto dell’accordo. Da parte cinese si evidenzia, invece, la capacità di “stare in piedi” di Pechino, malgrado le difficoltà economiche affiorate in questi due anni, sostenendo il confronto con gli Stati Uniti.
Ma sarà davvero un grande giorno questo 15 gennaio 2020? Lo potrebbe essere per Trump, almeno stando ai sondaggi. L’ultimo, pubblicato dal Financial Times settimana scorsa, dice che il 51% degli americani ritiene che il presidente abbia aiutato, in qualche modo, l’economia a stelle e striscie nel corso del suo mandato. Un risultato in salita di sette punti percentuali rispetto alla rilevazione condotta prima dell’annuncio dell’accordo.
Sul fronte cinese è difficile pensare che un accordo di questo genere possa stravolgere le sorti dell’economia nel 2020. Di certo toglie tensioni e ridona un po’ di tonicità al commercio internazionale. Resta per Pechino il problema di recuperare un ritmo di crescita sostenibile, accompagnando la fase finale di transizione del paese da economia emergente a solida economia avanzata.
Gli analisti mettono poi sul piatto gli effetti che un accordo di questo tipo può generare sullo scacchiere del commercio internazionale. Un rapporto più stretto tra USA e Cina rischia di mettere in pericolo le esportazioni di altri paesi. Canada e Messico guardano preoccupati ai dati della ricerca di Citigroup Global Markets, secondo la quale la fase uno dell’accordo può ridurre sensibilmente il valore degli scambi commerciali di questi paesi con gli USA.
Ci sarebbe poi un discorso di regole da rispettare all’interno del WTO, ed in particolare un principio, quello di non discriminazione commerciale (MFN), che quei 200 miliardi di dollari di beni USA da importare in Cina potrebbero violare. Il condizionale, in questo caso, ha un duplice valore: da un lato occorrerà leggere il testo definitivo dell’accordo per verificare l’effettiva violazione del principio MFN; dall’altro occorre ricordare come il WTO sia sostanzialmente bloccato nelle sue capacità di decidere sulle controversie. Questo a causa dalla mancanza di un accordo sulla nomina di nuovi membri della Corte d’Appello dell’organizzazione internazionale del commercio.
Resta poi da capire quale potrà essere lo sviluppo delle fasi dell’accordo successive alla prima. L’annuncio di un inizio immediato dei negoziati non è stato seguito dalla fissazione di date per nuovi incontri tra le delegazioni. Rimangono sul tavolo argomenti spinosi: diritti di proprietà intellettuale, il 5G, il destino di Huawei, le industrie statali ed il sistema di sussidi cinesi, i diritti umani e molto altro. Temi scivolosi, anche per una campagna elettorale.
Foto di Gerd Altmann