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Quel legame tra andamento dei mercati azionari e crescita economica

La valorizzazione dei mercati azionari, ma anche di quelli obbligazionari, è legata al concetto di crescita economica. Nel mercato azionario l’andamento aggregato dei profitti è un anticipatore della crescita e funziona da “catena di trasmissione” tra andamento dell’economia ed andamento dei prezzi delle azioni.

Potremmo dire che la variazione del valore di un mercato azionario in un determinato intervallo di tempo è sostanzialmente la somma delle variazioni di tre variabili: la variazione del PIL, la variazione dei profitti aziendali (intesi come percentuale del PIL) ed infine la variazione del rapporto prezzo su utile.

Sappiamo che ogni sistema economico ha un suo livello ottimale di crescita. Questo corrisponde alla quantità massima di output che un’economia può produrre senza generare un aumento del livello di inflazione. In altre parole stiamo parlando del PIL potenziale, che abbiamo già visto in un altro post. Nel breve periodo la crescita del PIL tenderà a oscillare tra valori superiori ed inferiori del PIL potenziale, che rimane il target di lungo periodo.

Anche i profitti aziendali seguono un andamento simile e si può dire che oscillino attorno alla linea di tendenza del PIL di lungo periodo. Ad un certo punto della fase di espansione, con i salari fermi, la forza lavoro sarà riluttante a lavorare. Un aumento salariale o una riduzione della domanda avranno come conseguenza una riduzione dei profitti aziendali. Allo stesso modo i profitti non possono decrescere all’infinito, perchè le aziende che producono perdite verranno eliminate dal mercato.

Si può dire, quindi, che nel lungo periodo la crescita dei profitti reali non potrà eccedere il tasso di crescita del PIL potenziale ed il suo andamento oscillante renderà la variazione del rapporto tra utili e PIL tendente a zero.

Considerando che anche il rapporto Prezzo/Utile non può né crescere all’infinito (nessuno sarà disposto a pagare qualsiasi cifra per ottenere una unità di utile) né scendere all’infinito (nessuno venderà a qualsiasi prezzo una unità di utile), la conseguenza è che, rifacendoci alla sommatoria vista in precedenza, possiamo affermare che l’apprezzamento dei mercati azionari nel lungo periodo è legato all’andamento del PIL ed in particolare alla crescita economica potenziale, la vera stella polare per chi investe in azioni con un orizzonte temporale ampio. In altri termini potremmo dire che ciò che muove i mercati azionari nel lungo periodo sono gli stessi fattori che guidano la crescita economica.

Le serie storiche confermano quando detto (Stewart, Piros, Heisler – 2011). Prendiamo a riferimento i dati dello S&P500 dal 1947 al 2007. Nel periodo considerato l’indice americano è cresciuto ad un ritmo del 10,8% annuo. Considerando solo le variazioni causate dall’apprezzamento delle azioni si ottiene un rendimento annuo del 7,15%. Un dato che è di poco superiore al tasso di crescita nominale del PIL statunitense nello stesso periodo, pari al 6.95%.

Ma il tema della crescita del PIL rispetto al suo potenziale ha implicazioni anche sul mercato delle obbligazioni. Qui entrano in gioco i prezzi dei beni al consumo, vale a dire l’inflazione. Una crescita sopra il potenziale aumenta le pressioni inflazionistiche, questo significa tassi di interesse nominali più alti e di conseguenza prezzi delle obbligazioni in ribasso. Al contrario, una crescita sotto il potenziale diminuisce le spinte inflazionistiche, abbassa i tassi nominali ed aumenta i prezzi delle obbligazioni.

Foto di Ramon M

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