I dati di maggio sull’occupazione negli USA, oltre ad aver dato la stura ad un nuovo rialzo dei listini azioni, hanno lasciato attoniti gli analisti che, nelle consuete previsioni, si attendevano non un aumento bensì un’ulteriore perdita di posti di lavoro. Ma cosa emerge, complessivamente, dalla fotografia del mercato del lavoro statunitense del mese scorso?
Partiamo dal riepilogare velocemente i dati. Nel mese di maggio l’economia statunitense ha creato, o sarebbe meglio dire recuperato, 2.5 milioni di posti di lavoro. Il tasso di disoccupazione si è portato così, stando alle statistiche del Dipartimento del Lavoro, al 13.4%, in ribasso rispetto al 14.7% del mese precedente. Quasi la metà dei posti di lavoro recuperati appartiene a quei settori che, dopo il lockdown, sono tornati ad alzare le saracinesche; 1,2 milioni di occupati in più tra bar, ristoranti, pub, alberghi ed altre strutture ricettive.
Il presidente Trump non si è fatto sfuggire l’occasione ed in conferenza stampa ha trionfalmente dichiarato, riassumendo, che l’economia america non sta recuperando a V ma sta ripartendo a razzo. Ma leggendo tutti i dati del report la situazione è molto più complicata.
Se è vero che il settore della ristorazione e ricettivo ha messo assieme 1,2 milioni di nuovi occupati, occorre ricordare che dal febbraio scorso ne sono stati persi per strada 8 milioni. Parte di queste nuove assunzioni, suggeriscono gli analisti, potrebbero essere la diretta conseguenza dei programmi di aiuto statali, che in molti casi richiedono l’astensione dal licenziamento per poter essere erogati.
Altro aspetto interessante riguarda i cosiddetti licenziamenti temporanei. Nel febbraio del 2020 erano 800mila, dopo essere schizzati verso l’alto nei mesi di marzo ed aprile, hanno segnato una flessione (la riassunzione di lavoratori) in maggio. Pur tenendo in conto questo recupero, il totale rimane di 15,3 milioni, una cifra enorme. Ma se i licenziamenti temporanei diminuiscono, non succede lo stesso per quelli permanenti: 300 mila in più a maggio, per un totale di 2,5 milioni.
Si diceva del tasso di disoccupazione. Anche in questo caso il dato è soggetto a molti se e molti ma. Innanzitutto, anche alla luce della difficile situazione sociale che percorre gli USA in queste settimane, va sottolineato un aspetto: la disoccupazione non scende per i cittadini americani di origine asiatica e di colore. Per i primi la percentuale si porta dal 14.5% al 15%, per i secondi raggiunge i massimi dal 1984 (16.8%). In aggiunta, la situazione rimane molto complicata per le donne, la cui percentuale di disoccupazione scende si, ma rimane al 14.5% (per gli uomini scende al 12%). In definitiva un’occupazione USA che prova a riprendersi ma che sembra molto disomogenea in questi primi movimenti di risalita.
L’ultimo aspetto da tenere in considerazione nell’analisi dei dati sull’occupazione USA è relativo al metodo di conteggio. Qui ci viene in aiuto il contributo di Jason Furman (PIIE) and Wilson Powell III (Harvard). Secondo i due economisti il tasso di disoccupazione ufficiale è sottostimato. Un dato più “realistico” deve tener conto di altri due numeri. In primis i 4,9 milioni di lavoratori ufficialmente ancora occupati ma non al lavoro per “altre ragioni”; poi i 6,3 milioni di americani che hanno abbandonato il mercato del lavoro e non stanno più cercando una nuova occupazione.
Furman e Powell calcolano che il tasso realistico di disoccupazione, pur in calo rispetto ad aprile, sarebbe del 17%. Ed anche ipotizzando che i licenziamenti temporanei fossero riassorbiti al 100% – storicamente solo il 70% lo è – il tasso di disoccupazione, proprio per il calo della percentuale di partecipazione al mercato del lavoro, sarebbe comunque molto elevato: il 7%.
Insomma forse l’immagine del razzo supersonico non è propriamente quella più corretta per commentare i dati dell’occupazione negli USA. La ripresa non sarà veloce. C’è resilienza, e questo è ottimo, ma la strada da fare è ancora lunga.
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