La minute della FED, relativa alla riunione di inizio giugno e pubblicata ieri, fotografa una situazione di estrema incertezza sul futuro andamento dell’economia. Ma da essa traspare anche il complesso dibattito sui tempi e sugli strumenti di politica monetaria da utilizzare nel dopo emergenza sanitaria.
Leggendo il verbale della riunione della FED del 9 e 10 giugno scorso una sola cosa sembra essere certa: i tassi di interesse rimarranno bassi ancora per molto, almeno fino al 2022. Tolta questa certezza, il resto assume la forma di un enorme punto di domanda.
Per il board i crucci sono almeno tre. Cosa fare nel caso in cui, come sta già accadendo in alcuni stati, il contagio riprenda a crescere costringendo a nuove chiusure delle attività economiche. Come rafforzare presso gli investitori il concetto che la banca centrale manterrà l’attuale assetto di politica monetaria espansiva. Infine, quando, passata la burrasca, iniziare a rimuovere la complessa struttura di emergenza messa in piedi in questi mesi.
Dalle parole riportate nella minute della FED traspare tutta la preoccupazione dei governatori per il rischio che una riapertura troppo veloce delle attività produttive porti ad una recidiva dei contagi, con conseguenze drammatiche per l’economia. Se sul fronte politico la FED annota la grande incertezza nel pianificare una riapertura in sicurezza, sul fronte monetario Powell ed il board sono piuttosto concordi nell’assicurare che l’istituto centrale non abbasserà la guardia nei prossimi mesi. I buoni dati di maggio del mercato del lavoro (vedremo oggi quelli di giugno) non hanno fatto dimenticare gli oltre 20 milioni di posti di lavoro persi da febbraio; la temporaneità dei sussidi federali al reddito non tranquillizza sull’andamento nelle prossime settimane di consumi e credito. Se dovesse concretizzarsi lo scenario che prevede una seconda ondata di covid-19 verso fine anno, è molto probabile un nuovo intervento della FED già nella riunione di settembre.
Oltre al come intervenire nel caso gli eventi precipitassero, per la FED esiste un altro tema, vale a dire come mantenere credibile nel tempo la propria guidance. Sappiamo che la banca centrale agisce direttamente solo sui tassi a breve termine, l’abbassamento dei tassi nella parte a medio-lungo periodo viene solo indirettamente condizionata, ed il condizionamento è tanto più efficace quanto più è credibile l’azione della banca centrale. Per alcuni governatori annunciare che i tassi rimarranno bassi fino al 2022 potrebbe non bastare. Ecco allora la proposta, estremamente divisiva, di utilizzare la Yield Curve Control per tenere a bada i tassi senza aumentare il peso degli assets in bilancio. Sul punto le perplessità sui costi e sui benefici sono tante.
Per rendere ancora più facile la comprensione della politica attuata dalla FED, molti governatori hanno lanciato l’idea di esplicitare la deadline della manovra espansiva. Vale a dire quando la FED inizierà a stringere i cordoni della borsa e riporre nel cassetto l’arsenale schierato per la crisi. E l’ipotesi è di legare questo evento al raggiungimento di una determinata soglia di inflazione. Secondo alcuni governatori, qui la novità, visto il pesante tonfo subito dal livello dei prezzi, sarebbe opportuno lasciar andare l’inflazione oltre il target del 2%, ricercando un consolidamento del dato prima di intervenire. Un cambio di strategia epocale, visto che da 30 anni a questa parte la banca centrale americana ha sempre anticipato il raggiungimento del target.
Il quadro generale rimane complesso e soprattutto in costante mutamento. Lo stesso Powell ha ammesso, lunedì scorso, che l’economia americana è entrata in una nuova fase e lo ha fatto più velocemente di quanto la banca centrale prevedesse.
Foto da flickr – FederalReserve