In un momento storico nel quale le disuguaglianze economiche continuano a crescere ci si chiede se la politica monetaria possa essere uno strumento per combatterle o, al contrario, possa esacerbarle.
Abbiamo avuto modo di scriverlo in diversi post, le disuguaglianze economiche, tra paesi ma anche tra fasce di popolazione all’interno dello stesso paese, stanno crescendo. Un movimento decennale che la pandemia di covid-19 rischia di accelerare.
A chi tocca intervenire? Tocca ai governi ed alla politica fiscale o può fare qualcosa anche la politica monetaria delle banche centrali? Negli ultimi tempi si è acceso un interessante dibattito sul tema. L’ultimo contributo arriva da uno studio condotto da Niels-Jakob H. Hansen, Alessandro Lin e Rui C. Mano. Nel loro “Should Inequality Factor into Central Banks’ Decisions?“, pubblicato dal Fondo Monetario Internazionale, i tre autori hanno provato ad elaborare un modello nel quale le decisioni di una banca centrale in materia di tassi d’interesse contempli tra gli obiettivi anche una riduzione della disuguaglianza di consumo tra cittadini.
Prima di vedere i risultati di questo studio occorre però chiarire cosa si intenda per disuguaglianza economica e come la politica monetaria possa incidere su di essa. Potremmo dire che la disuguaglianza economica, intesa qui solo come differenza di livello di consumo tra individui, cresce al crescere della dipendenza di un soggetto dal proprio reddito da lavoro. Le classi più povere sono quelle che dipendono totalmente dalla percezione di salari e sussidi pubblici, le classi più ricche possono contare su una incidenza bassa del reddito da lavoro e da un contributo sostanziale del reddito da capitali. Dove c’è crescita economica aumenta l’occupazione e conseguentemente aumentano la propensione a consumare ed il livello di consumo delle classi più povere. Viceversa, condizioni di bassa crescita, e di conseguente bassa occupazione, allargano il gap di consumo tra le classi povere e quelle ricche.
La politica monetaria cosa c’entra in tutto questo? Se la modulazione dei tassi di interesse ha un effetto sulla crescita economica, attraverso inflazione e salari, allora può avere un effetto anche sulle disuguaglianze economiche. Olivier Coibion, Yuriy Gorodnichenko, Lorenz Kueng e John Silvia hanno studiato gli effetti di una politica monetaria restrittiva sulle disuguaglianze. Il risultato empirico sembra dar ragione alla teoria: la politica monetaria incide, in questo caso negativamente, sulle disparità economiche.
Con il loro modello macroeconomico, Niels-Jakob H. Hansen, Alessandro Lin e Rui C. Mano, arrivanno alla conclusione che un’applicazione della regola di Taylor che tenga conto anche della disuguaglianza può incidere su quest’ultima. Un tasso di interesse leggermente più basso rispetto a quello derivante dalla formulazione classica di Taylor, può portare ad un maggiore aumento dei consumi delle classi più povere.
Lo studio di Coibion ed i suoi colleghi ci mette però in guardia. Una politica monetaria con tassi a zero o negativi ha, per le disuguaglianze economiche, la stessa valenza concettuale di una politica monetaria restrittiva, quindi porta ad accentuarle.
In conclusione, la politica monetaria può fare qualcosa contro le disuguaglianze? Le ricerche sembrano confermarci che un rapporto tra decisioni della banca centrale e disuguaglianze c’è. Manovre restrittive sembrano accentuarle, manovre espansive che ne tengano conto possono ridurle. Ma l’utilizzo di politiche monetarie iper-espansive può, invece, avere conseguenze negative sulle disuguaglianze economiche. Un altro motivo per insistere sulle politiche fiscali, come strumento principe per la mitigazione degli effetti negativi della crisi scatenata dalla pandemia.
Foto di Peter H