Nella sfida contro gli effetti del cambiamento climatico tutti sono chiamati a contribuire, anche le banche centrali hanno offerto la loro disponibilità, ma in che modo possono intervenire?
Fin dal giorno del suo insediamento la governatrice della Banca Centrale Europea, Christine Lagarde, ha sottolineato la necessità di includere il tema del cambiamento climatico nelle scelte di politica monetaria dell’istituto. Il Network for Greening the Financial System (NGFS), un gruppo di lavoro nato per studiare gli effetti del climate change sul sistema finanziario, conta già 75 banche centrali aderenti ed altre – tra cui la FED – se ne aggiungeranno nei prossimi mesi.
Se affrontare le sfide del cambiamento climatico è un dovere che riguarda tutti, le banche centrali non sembrano essersi tirate indietro. Ma come può un’istituzione finanziaria incidere sulle dinamiche della sostenibilità ambientale di governi ed imprese?
Markus K Brunnermeier e Jean-Pierre Landau sono gli autori di un paper pubblicato da VOX ad inizio anno (prima dello scoppio della pandemia). Nel loro Central banks and climate change sottolineano come l’impegno delle banche centrali nella sfida al cambiamento climatico rientri sicuramente nelle loro competenze, dato l’impatto economico che deriva dagli effetti del climate change. Impatto che si riflette sui mercati finanziari, sulla stabilità dei prezzi e sull’occupazione.
Certo, ci si muove su un confine molto labile. Indipendenza di una banca centrale significa anche non ingerenza in materie che devono essere affrontate da organi politici. Un intervento diretto su progetti green potrebbe andare oltre il loro mandato, in quanto decisioni di politica industriale devono essere prese da organismi eletti; dalla politica, quindi.
Nel loro paper Brunnermeier e Landau individuano due sistemi pratici attraverso i quali le banche centrali possono penalizzare atteggiamenti societari poco virtuosi.
Il primo è la possibilità di rivedere il bilancio degli istituti, vale a dire la massa di titoli di stato e corporate che le banche centrali posseggono, ribilanciando il portafoglio titoli a favore di quelli relativi a settori con minor impatto ambientale ed a società virtuose.
In secondo luogo si potrebbe agire sul valore dei collaterali dati a garanzia di prestiti da parte delle banche. In pratica le garanzie rappresentate da titoli di società poco ecosostenibili verrebbero valorizzate meno (l’haircut) rispetto a quelle consistenti in titoli di società o settori virtuosi.
Si annotava in precedenza che il lavoro di Brunnermeier e Landau è stato pubblicato prima dello scoppio della pandemia. Non è un particolare marginale. La recessione innescata dal covid-19 ha costretto le banche centrali a lanciarsi in enormi piani di acquisto titoli, sia governativi che corporate. Alcune banche centrali si sono spinte fino all’acquisto di strumenti azionari come gli ETF. La sola BCE ha in pancia qualcosa come 260 miliardi di euro di titoli corporate (dal settore delle utilities, all’energetico; dall’automotive alle infrastrutture).
E’ chiaro che una situazione del genere rende molto più complicato implementare le misure suggerite da Brunnermeier e Landau, senza creare pericolosi squilibri finanziari. Il dibattito all’interno delle banche centrali è acceso. Il Board della BCE ne è un esempio. Francois Villeroy de Galhau, governatore della banca centrale francese, considera un’ottima opzione l’agire sui collaterali (il secondo strumento suggerito nel paper citato in precedenza). Dall’altra parte, Robert Holzmann (banca centrale austriaca) dice che il mercato dei green bond è capace di crescere da solo, senza la necessità del sostegno della BCE.
E’ molto probabile che, almeno in questa fase, possa prevalere un atteggiamento improntato alla neutralità delle banche centrali. Questo significa un ruolo non di primo piano ma comunque importante nella lotto al cambiamento climatico. Le banche centrali possono, ad esempio, focalizzare i loro sforzi sui regolamenti, spingendo affinchè le società emittenti strumenti finanziari siano obbligate a rendere note informazioni sensibili circa l’impatto ambientale delle loro produzioni; o debbano indicare la destinazione dei fondi raccolti. Le istituzioni monetarie possono, infine, spingere affinchè si adotti uno standard unico per la valutazione degli strumenti esg, un punto particolarmente importante che abbiamo già più volte sottolineato.
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