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L’investitore ai tempi di Robinhood

L’investitore ai tempi di Robinhood. No, non siamo nella foresta di Sherwood e l’eroe che rubava ai ricchi per dare ai poveri c’entra poco o niente. Parliamo di una app, Robinhood appunto, che rappresenta un nuovo approccio agli investimenti, qualcosa di già visto e qualcosa di pericolosamente nuovo.

In questo 2020, tra le tante cose, alla ribalta della cronaca è salita l’applicazione RobinHood, capace di raccogliere milioni di utenti in pochi mesi rendendo – stando al suo motto – il trading alla portata di tutti (“Investing for Everyone“). Un fenomeno, quello del trading online, che fa discutere e che da molti analisti è stato considerato un amplificatore della volatilità registrata negli scorsi mesi sui mercati azionari. L’acquisto e la vendita di azioni scambiati per una giocosa attività di scommesse; il poderoso recupero dal sell-off di marzo dei mercati azionari; il tanto tempo libero a disposizione nei mesi di lockdown. Tutto questo, e molto altro, ha spinto milioni di americani a scaricare sul proprio smartphone l’applicazione sviluppata a Menlo Park ed attivare un account. Il tutto, spesso e volentieri, senza alcuna conoscenza, neppure basica, di come funziona il trading.

E’ quindi naturale chiedersi su quali basi vengano effettuati gli acquisti e le vendite e che tipo di portafoglio possieda un utente medio di queste applicazioni. Sono domande alle quali diverse ricerche hanno cercato di dare una risposta. Sul primo punto una delle più interessanti è senza dubbio quella condotta da Brad M. Barber e Terrance Odean nell’ormai lontano 2005. Il loro studio, presentato all’EFA meeting di Mosca nel 2005 e pubblicato poi nel 2008 sulla rivista Review of Financial Studies, ha come titolo “All that Glitters: The Effect of Attention and News on the Buying Behavior of Individual and Institutional Investors” è sostiene una tesi molto interessante: gli investitori non professionali tendono ad acquistare le azioni che attirano la loro attenzione. Vale a dire azioni di società che sono sulle prime pagine dei giornali o che registrano un boom in borsa o che per qualsiasi altro motivo risultano essere “di tendenza” in quel determinato giorno borsistico.

Barber e Odean si sono presi la briga di incrociare i dati di tre variabili: i flussi di notizie sulle società quotate, i volumi di contrattazione e i rendimenti dei titoli. I risultati dello studio sembrano confermare la tesi: un investitore non professionale, di fronte alla necessità di scegliere tra migliaia di titoli, è portato ad acquistare azioni di società di tendenza sui media, e che per questo attirano la sua attenzione.

Lo studio pare trovare conferme in quanto accaduto nei mesi scorsi, con alcuni titoli letteralmente schizzati verso l’alto grazie alla notorietà raggiunta in tempi di pandemia.

Ma come investe un utente Robin Hood? Kathi Kwiatkowski, di Wells Fargo, ha provato a decifrare il portafoglio medio di un utente Robinhood. Ne esce un quadro interessante, nel quale non è sempre e solo la “tendenza” a trionfare. In primo luogo risulta che ben il 20% del capitale è investito in azioni con quotazioni inferiori ai 5 dollari (e, fa notare Kwiatkowski, solo l’8% delle società quotate a Wall Street è sotto tale soglia di prezzo). Secondariamente emerge uno spirito “contrarian”. Stando alla situazione di fine giugno 2020, le prime 5 azioni detenute dagli utenti di Robinhood sono appartenenti a settori che con la pandemia hanno avuto tutto da perderci (settore auto e compagnie aeree). Si tratta sicuramente, in accordo con la tesi di Barber e Odean, di società sulla bocca di tutti (i numeri delle immatricolazioni a picco, gli aereoporti chiusi, gli aerei a terra sono stati amplificati citati dai media). Ma la spiegazione risiede anche nella più tipica delle scommessa: puntare su settori penalizzati che potrebbero garantire i maggiori ritorni in caso di recupero.

Foto di Linus Schütz

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