Si avvicina l’appuntamento con il COP26 di Glasgow e, anche se le posizioni dei 190 paesi invitati sembrano molto variegate, è possibile individuare i tre principali, auspicabili, obiettivi della conferenza.
L’avvicinarsi della conferenza sul clima di Glasgow è ben segnalato dal profluvio di dichiarazioni, ricerche, numeri e moniti che quotidianamente annotiamo. Ma l’impressione che si ha leggendo tra le righe dei vari comunicati stampa è che i 190 paesi invitati all’evento marcino in ordine sparso. E questo molto probabilmente non ce lo possiamo permettere. Ma quali sono, o dovrebbero essere, gli obiettivi principali della COP26?
Alok Sharma, presidente della COP26, ha recentemente dichiarato che l’obiettivo della conferenza di Glasgow è quello di strappare un accordo che chiuda definitivamente all’utilizzo del carbone fossile. Obiettivo sul quale concorda il premier inglese Boris Johnson, padrone di casa della conferenza. La linea inglese, che in teoria dovrebbe essere anche quella del G20, è di fissare il termine per l’utilizzo del carbon fossile e di tracciare la strada, in termini di obiettivi, per il raggiungimento dello scenario ad emissioni zero. Il premier inglese ha però realisticamente ammesso che il dibattito sarà molto difficile.
Se il buongiorno si vede dal mattino, le nubi su Glasgow sono già molto fitte. Nel documento finale dell’ultima riunione del G20 non c’è traccia della volontà di chiudere il capitolo carbone. Se ne è discusso, ma paesi come l’India, la Russia e molti altri si sono tenacemente opposti a mettere nero su bianco alcun impegno concreto. Si riproverà a Roma, ma le premesse non sono buone. La Cina, pur avendo espresso la volontà di non realizzare nuove centrali a carbone, ha messo le mani avanti, ricordando che prima di tutto viene lo sviluppo economico del paese.
La crisi energetica scatenata dal risveglio dell’economia mondiale post-pandemia non aiuta di certo ad affrontare l’argomento in maniera “serena”. Se per Sharma non sarà certo un movimento temporaneo dei prezzi a sviare il dibattito, è anche vero che le fragilità mostrate in questi ultimi mesi dalle energie rinnovabili può aver fatto rizzare le antenne a più di un governo.
Certo le pressioni sono enormi. Il vice presidente di BlackRock, Hildebrand, ha ricordato che ignorare i costi relativi ai cambiamenti climatici può costare qualcosa come il 25% del PIL nei prossimi due decenni. Come dire, aggrapparsi al carbone per superare la crisi energetica può essere come mettersi da soli il cappio al collo.
Sul banco degli imputati e tra gli elementi di discussione della COP26 c’è anche il metano. Gli scienziati ci ricordano che l’emissione di questo gas ha effetti enormi sul surriscaldamento globale. Nell’atmosferma ne circola un volume pari allo 0.5% di quello dell’anidride carbonica, ma incide per il 25% sull’incremento della temperatura terrestre. Gli allevamenti intensivi, ma anche il settore estrattivo, sono tra i principali responsabili delle emissioni di metano nell’atmosfera. Una riduzione del 50% delle emissioni entro il 2030 porterebbe ad una diminuzione del surriscaldamento globale di 0,3 gradi centigradi (dati da Bloomberg Green). Le resistenze, però, sono enormi e vanno, solo per citarne alcuni, dalle grandi multinazionali della carne ai piccoli stati estrattori come il Turkmenistan (da leggere la storia relativa alla famosa “Porta del diavolo“).
Se le grandi economie, responsabili dell’80% delle emissioni inquinanti, lottano per uscire dalla loro comfort zone, diciamo così, le piccole economie emergenti mostrano il conto. Perchè l’altro grande obiettivo del COP26 dovrebbe essere quello di far finalmente arrivare quei 100 miliardi di dollari all’anno promessi dal G20 ai paesi più poveri per dare loro la possibilità di affrontare il cambiamento climatico. Cambiamento che proprio in molti di quei paesi sta mostrando il suo lato più nero ed estremo, tra mancanza d’acqua ed inondazioni.
Fine del carbone, riduzione delle emissioni di metano e sostegno ai paesi poveri. Il raggiungimento di un accordo su questi tre obiettivi e la definizione chiara dei tempi di attuazione potrebbe determinare il successo, o meno, della COP26 che si aprirà il 31 ottobre prossimo a Glasgow.
Foto di Julia Schwab