Invisibile e terribilmente dannoso. Stiamo parlando del metano, vale a dire uno dei più potenti gas serra ed uno dei principali target da colpire per mantenere il surriscaldamento globale a fine secolo sotto i due gradi centigradi.
Dal 1750 ad oggi la concentrazione di metano nell’atmosfera è triplicata. La sua presenza, ci ricordano i dati IPCC, è resposabile di un terzo del surriscaldamento registrato dall’avvento della rivoluzione industriale. Se consideriamo un orizzonte temporale di 20 anni, il metano presenta una capacità di generare surriscaldamento dell’atmosfera 85 volte superiore all’anidride carbonica. Numeri che ci dicono due cose: affrontare di petto la questione metano può incidere positivamente sul global warming già nel breve termine; una regolamentazione più stringente sulle emissioni di questo gas avrà un impatto importante anche sugli investitori.
A mettere nero su bianco queste due considerazioni ci ha pensato il think tank inglese Carbon Tracker Initiative. Per raggiungere l’obiettivo zero emissioni nel 2050, quelle del metano nell’atmosfera devono subire una riduzione del 75% entro il 2030. Le principali fonti delle emissioni di metano, ricorda CTI, sono la terra stessa, l’agricoltura e la produzione di energia (fossile e biocombustibili). Ed il settore dell’energia, in particolare le attività di estrazione, sono potenzialmente quelle sulle quali la “scure” dei governi potrebbe abbattersi con più durezza. Non solo per la correlazione con l’energia fossile, ma anche e soprattutto per la possibilità sempre più ampia di misurare accuratamente la quantità di emissioni a carico di questa industria, e conseguentemente di calcolare le relative penalizzazioni economiche da applicare.
Ecco perchè gli investitori devono stare in guardia, investire in società “metano intensive” rischia di esporli a pesanti conseguenze nel medio termine. Capire come e con che tempi un’industria intende ridurre le proprie emissioni di metano può fare la differenza. Un buon metodo può essere quello di seguire i passi effettuati dai grandi gruppi industriali che hanno aderito al Zero Routine Flaring by 2030 della World Bank. Seppur su base volontaria e parziale, il report dell’istituto con sede a Washington comincia a popolarsi di dati interessanti, come ad esempio, il percorso positivo di compagnie come Shell, BP e Total.
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