La guerra in Ucraina rappresenta una seria minaccia anche per la lotta al cambiamento climatico. E la spiegazione sta in un meccanismo, il global climate accelerator.
Tutti noi abbiamo ben presente di cosa si stia parlando quando si utilizza la parola domino. Il pianeta terra, le relazioni economiche internazionali, le dinamiche all’interno delle società sono sottoposte ad un effetto domino. Così, se ci guardiamo alle spalle, osserviamo come una crisi del mercato creditizio negli USA si sia trasformata in una delle più severe crisi finanziarie dei tempi moderni. O come un malsano rapporto tra uomo e natura abbia sprigionato una minaccia sanitaria in grado di bloccare un intero pianeta. Eccolo l’effetto domino, un primo piccolo tassello che cade e che a cascata fa cadere tutti gli altri, spesso accelerando l’effetto “distruttivo” con il passare del tempo.
Abbiamo citato la grande crisi finanziaria del 2008, il covid ed il verbo accelerare. Recentemente John Muellbauer e Janine Aron hanno provato a mettere in relazione quanto accade nel corso di una crisi del sistema finanziario con quello che comporta un cambiamento climatico. Lo hanno fatto ragionando su una caratteristica che i due fenomeni hanno in comune: l’accelerazione. In altri termini potremmo definirla coma la capacità di un evento negativo di autoalimentarsi dai suoi stessi effetti, amplificandoli. Ad esempio nel corso della grande crisi finanziaria del 2008 il crollo del prezzo delle abitazioni scatenò una crisi nel settore immobiliare e bancario, questa portò a minori profitti e maggiore disoccupazione, che a loro volta depressero ulteriormente il mercato immobiliare, quindi i prezzi delle abitazioni. Allo stesso modo, sul fronte climatico, l’aumento dei periodi di siccità causati dal surriscaldamento climatico (effetto di un’alta concentrazione di CO2), riduce la capacità di assorbimento di anidride carbonica da parte delle grandi foreste pluviali e questo a sua volta comporta un ulteriore aumento del volume di CO2 nell’atmosfera.
Nel primo esempio citato si parla di financial accelerator, nel secondo di global climate accelerator. E quest’ultimo ha molto a che fare con quanto sta accadendo sul fronte geopolitico in questo momento. Ritardare anche di pochi mesi le azioni da compiere per provare a ridurre le emissioni dannose nell’atmosfera significa permettere all’acceleratore del cambiamento climatico di agire, rendendo ancora più complicato il salvataggio del nostro pianeta. John Muellbauer e Janine Aron citano un dato significativo: nel settore costruzioni una percentuale tra il 30% ed il 70% delle emissioni di CO2 nel corso della vita di un edificio si realizzano nella fase di costruzione. Pensate cosa possa significare ricostruire da zero – e a questo purtroppo siamo arrivati – intere città come la martoriata Mariupol o la stessa Kiev.
Fatih Birol, a capo dell’Agenzia Internazionale per l’Energia, ha recentemento dichiarato al New York Times che la lotta al cambiamento climatico potrebbe essere un’altra vittima del conflitto tra Russia ed Ucraina. Il raggiungimento dell’indipendenza energetica dalla Russia, significherà per l’Europa investire in infrastrutture e le realizzazione di nuove infrastrutture energetiche altro non significa se non anni in più di utilizzo delle fonti di energia fossile. E’ il caso del gas. L’accordo con gli USA per l’arrivo di 50 miliardi di metri cubi di gas liquefatto almeno sino al 2030 potrebbe voler dire esigenza di realizzare nuovi rigassificatori ed allungare la vita all’utilizzo di un combustibile fossile di almeno 10-15 anni. Immaginare cosa significhi ciò dal punto di vista del global climate accelerator è abbastanza intuibile.
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