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Cina, inflazione e geopolitica: un mix indigesto per l’economia mondiale

Cina, inflazione e crisi geopolitica rappresentano un mix potenzialmente tossico per il futuro prossimo dell’economia mondiale.

A prima vista lo scenario che si apre da qui ai prossimi mesi è forse tra i più complicati che l’economia mondiale abbia incrociato dal 1945 in poi. Il cielo che pareva diventare terso dopo la pandemia sembra ora scurirsi, coperto da un mix potenzialmente molto indigesto per la crescita globale.

Gli ingredienti di questo mix sono sostanzialmente tre: Cina, inflazione e crisi geopolitica in Europa. In Cina, la scorsa settimana, una città di oltre 26 milioni di abitanti (Shanghai, due volte e mezzo la popolazione della Lombardia) è finita sotto lockdown ed un’altra – Shenzen – ha subito un trattamento simile. Cos’è successo? L’arrivo della variante Omicron, con la sua alta contagiosità agevolata ulteriormente dai dati traballanti della campagna di vaccinazione cinese, ha costretto le autorità ad intervenire. Per tener fede alla loro ferrea volontà di eradicare il Covid, la soluzione trovata è stata quella di chiudere tutto, con le ovvie conseguenze che si possono intuire. Il sondaggio PMI di marzo – sia quello elaborato dall’istituto di statistica locale, sia quello di S&P Global – ha registrato una pesante frenata del settore privato che è tornato in zona contrazione per la prima volta dall’agosto del 2021.

Le conseguenze di questo blocco, così come accadde ad inizio 2020, non possono che farsi sentire sulla già scalcagnata supply chain globale. Certo, in due anni le cose sono cambiate ma, come abbiamo visto, per ammodernare la grande macchina della distribuzione internazionale ci vuole tempo, e non ne è passato abbastanza. Shanghai e Shenzen sono solo un promemoria: da quelle parti, finchè persisterà una politica di covid zero e le percentuali di vaccinazione rimarranno basse, dobbiamo mettere in conto una lunga sequela di lockdown da qui ai prossimi mesi. Più o meno localizzati e più o meno in grado di portare nuova sabbia negli ingranaggi della supply chain globale.

Il secondo ingrediente del mix tossico che aleggia sull’economia mondiale è ovviamente la questione inflazione. Sull’argomento si è scritto già molto e tutti sappiamo che un’inflazione troppo alta è un potenziale killer della crescita economica. Non tutta l’inflazione è uguale, però. Negli USA a spingere verso l’alto i prezzi c’è soprattutto la dinamica domanda/mercato del lavoro, in parte effetto della enorme politica fiscale espansiva degli ultimi due anni, in parte riflesso di lunghi anni di tassi bassi e prezzi di azioni e obbligazioni alle stelle. In Europa l’inflazione sembra quasi esclusivamente il risultato di uno shock dell’offerta, con l’economia che mandava già da tempo segnali di rallentamento e con i consumi che non sono mai parsi roboanti nel dopo pandemia. Questa diversa origine della spinta inflazionistica comporta un differente grado di efficacia degli interventi delle banche centrali, Fed e BCE, con la seconda in una situazione molto più complicata.

Il terzo ingrediente non può che essere lo scenario geopolitico, con la guerra in Ucraina che rischia di durare molto più a lungo di quanto si pensasse inizialmente e con le trincee – figurate in questo caso – scavate tra la Russia e l’occidente destinate a segnare per molti anni l’economia, specie quella europea. Oltre agli effetti sull’energia e sulle altre materie prime, il conflitto rischia di scatenare è una forte perdita di fiducia da parte degli operatori economici, un sentimento che questa volta, a differenza di quanto accaduto con la crisi pandemica, difficilmente potrà essere curato da politiche fiscali espansive (gli spazi per creare ulteriore debito pubblico sono praticamente finiti).

Fare previsioni è sostanzialmente impossibile, dobbiamo limitarci ad osservare il presente. Al momento questo mix tossico sta erodendo il “tesoretto” di crescita messo da parte nel 2021. Tutto dipenderà dalla durata dei fenomeni coinvolti.

Foto di hans

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