Il mercato del lavoro è in fase di recupero ma per le donne la situazione rimane complicata: dai numeri dell’ILO al caso, estremo, dell’India.
Tra le caratteristiche più evidenti della fase post-pandemia uno spazio di rilievo lo merita sicuramente il gran recupero del mercato del lavoro. I numeri statunitensi sono tra i più impressionanti, con la disoccupazione ridotta di oltre due punti nel giro di poco meno di un anno e le offerte di lavoro che sono arrivate ad essere quasi il doppio rispetto al numero dei disoccupati. Anche nell’Eurozona, seppur con ritmi più “normali”, la disoccupazione è scesa ai suoi minimi storici, con il dato di aprile che si è confermato al 6.8%.
Pericolo scampato? Non proprio, perchè analizzando un po’ meglio i numeri c’è qualcosa che ancora non sta tornando. Secondo i dati dell’ILO (International Labour Organization) nel 2020 la pandemia costò 57 milioni di posti di lavoro agli uomini e 46 milioni alle donne. In termini percentuali questo ha significato una riduzione della platea di lavoratori maschi del 2.9% e di quella femminile del 3.6%. E’ il risultato di quello che gli economisti hanno chiamato she-cession, una crisi occupazionale che ha colpito in maniera più severa le donne. Ma dopo cos’è successo? Qui arrivano le note dolenti, perchè nel super recupero del mercato del lavoro emerge che c’è meno spazio per l’occupazione femminile.
Sempre riferendoci ai numeri diffusi dall’ILO sappiamo che nel 2021 i posti di lavoro persi rispetto all’anno pre-pandemia erano 10.2 milioni per gli uomini e quasi il doppio per le donne (19 milioni). Ad inizio 2022 il tasso di disoccupazione maschile è sceso al 5.7% dal 6.6% del 2020; quello femminile è rimasto sopra l’asticella del 6% (6.1% nel 2022 contro il 6.4% del 2020). L’ultimo report dell’oganizzazione ginevrina ci ricorda che la media di ore settimanali di lavoro delle donne è poco più della metà di quella dei lavoratori maschi.
In questo scenario spicca, per la sua tragica dimensione, la situazione indiana. In India la condizione delle donne fatica a migliorare. Malgrado i recenti sforzi del governo centrale per aumentare il tasso di scolarizzazione e tentare di aumentare l’età minima per contrarre un matrimonio, dal 2010 al 2020 l’occupazione femminile si è ridotta di sette punti percentuali: dal 26%, già di per sè misero, al 19%. La pandemia, se possibile, ha reso ancora più drammatica la situazione. Stando a quanto riportato dall’agenzia Bloomberg nei giorni scorsi, gli economisti indiani stimano che l’occupazione femminile sia scesa ad inizio 2022 al 9%. Detta all’inverso significa che in India, attualmente, il 90% delle donne è fuori dal mercato del lavoro. Il gap tra occupazione maschile e femminile tocca quasi il 60%. Una tragedia sociale ma anche economica. I numeri elaborati da Bloomberg Economics dicono molto: chiudere questo gap entro il 2050 garantirebbe all’India una crescita aggiuntiva di quasi 6 trilioni di dollari, un aumento del PIL del 30% circa. Lasciare indietro le donne, in altri termini, potrebbe significare per Mumbai perdere il treno per diventare una grande potenza economica.
La pandemia continua a far sentire i proprio effetti sul mercato del lavoro e l’occupazione femminile continua ad essere l’anello debole della ripresa.
Foto di janeb13