Tra i numeri sempre più alti dell’inflazione e lo spettro di una recessione globale, i mercati finanziari rimangono in una sorta di terra di mezzo.
Fuori l’inflazione, dentro la recessione. Gli investitori “abbandonano” la discussione sui prezzi per buttarsi a capofitto sul nuovo tema “caldo”, vale a dire il possibile arrivo di una recessione. Anche questo un segnale dei tempi, dove tutto, persino le variabili macroeconomiche, una volta date in pasto all’opinione pubblica, vengono consumate in fretta e “avanti il prossimo”.
Questa foga di certo non aiuta la comprensione di un contesto macro davvero complesso e con poche similitudini con il passato, con la conseguenza che spesso e volentieri nascono discussioni sul nulla o giù di li. L’ultima frontiera del dibattito si è spostata sul rapporto tra mercato del lavoro e recessione. Secondo alcuni analisti potremmo essere alla vigilia di una recessione (quindi riduzione della produzione di ricchezza) con un mercato del lavoro che rimane su livelli da ciclo in espansione, una sorta di jobful recession. Ora, al di là del fatto che il mercato del lavoro tende sempre a muoversi in ritardo rispetto all’andamento del ciclo economico (scende più tardi e recupera più tardi), molti hanno letto il dato sul PIL USA nel primo trimestre in maniera troppo rigida (o superficiale). Riprendendo la nostra K Briefing di inizio aprile, ricordiamo come quel segno meno sia stato il frutto soprattutto dell’accumularsi delle scorte e della crescita dei prezzi delle importazioni, mentre i consumi e gli investimenti hanno continuato a crescere.
Questo naturalmente non signfica che una recessione non sia alle porte, ma come sosteneva qualche giorno fa Brian Belski di BMO, gli investitori (istituzionali) sono ossessionati dal downturn e rischiano di calcare un po’ troppo la mano. Ma perchè tutta questa impazienza da recessione? Qualcuno sotto sotto ci vede una sorta di speranza sul fronte dei tassi. Il ragionamento – a livello logico correttissimo – è che l’arrivo di una recessione bloccherà la politica monetaria restrittiva della FED e sappiamo quanto le borse festeggino quando il costo del denaro scende. Ma pur se corretto, il ragionamento potrebbe essere prematuro. Powell è stato abbastanza chiaro: la Fed non si fermerà finchè non sarà sicura che le aspettative di inflazione delle famiglie statunitensi non torneranno completamente sotto controllo. E questo significa che i tassi potrebbero rimanere alti anche in presenza di una prima fase di recessione. Di fronte ad una banca centrale che non segue le volontà dei mercati (e questa volta pare che Powell voglia smarcarsi da Wall Street) la successiva reazione di questi ultimi potrebbe essere una sorta di crollo emotivo.
In definitiva, nella girandola di argomenti che ci avvolge in questa torrida estate 2022, occorre tenere i nervi saldi, guardare a quei pochi indicatori che possono darci una mano (consumi, inflazione, pmi) ed avere pazienza e prudenza.
Illustrazione di Gerd Altmann