Per Nouriel Roubini la mole di debito pubblico e privato è un macigno che può portare ad una lunga recessione e ad ulteriori flessioni sui mercati azionari.
Nel comunicato che ha accompagnato uno degli ultimi rialzi dei tassi da parte della Bank of England si paventava la possibilità di una recessione di lunga durata per l’economia britannica, una fase di downturn in grado di durare fino al 2024. Nelle successive comunicazioni questo scenario non è stato ribadito, ma l’idea che l’attuale fase macroeconomica possa sfociare in una recessione “mild” (non severa) ma prolungata è piuttosto diffusa.
Ultima voce ad aggiungersi al coro è quella dell’economista Nouriel Roubini. E la chiamata di Dr Doom è di quelle che diventano automaticamente titoli da prima pagina per i giornali finanziari. Roubini concentra la sua attenzione su una delle grandi variabili economico/finanziarie che stanno caratterizzando questa fase storica dell’economia globale: il debito pubblico e privato. Stando ai calcoli del Fondo Monetario Internazionale nel 2020 il debito globale è arrivato a valere qualcosa come il 256% del PIL mondiale, quello pubblico pareggiava sostanzialmente tutta la ricchezza prodotta quell’anno (99%).
Secondo l’economista che previde la crisi del mercato immobiliare statunitense del 2007, il peso del debito sui bilanci dei governi, delle famiglie e delle imprese è tale per cui un’ondata di politica monetaria restrittiva, unita ad una domanda ammaccata dall’inflazione, può portare ad una lunga e complicata fase di recessione. L’aumento del costo del debito (gli interessi da pagare) collegato al rialzo dei tassi di interesse rischia di assestare il colpo definitivo all’alto numero numero di operatori “zombie” presenti sul mercato (imprese, famiglie ma anche stati), riducendo inoltre la capacità di risposta della politica fiscale ad un periodo di downturn. E se si pensa alla velocità con la quale le banche centrali hanno invertito la marcia, , allora i rischi crescono ulteriormente.
Per Roubini a farne le spese sarà ancora una volta il mercato azionario. Nel caso statunitense, secondo l’economista, lo S&P500 potrebbe perdere fino al 40% in presenza di un hard landing dell’economia a stelle e strisce.
Foto di Gerd Altmann