Lo scioglimento dei ghiacci sta trasformando le acque artiche in una nuova opportunità per il commercio internazionale, con i relativi problemi ambientali ma anche politici.
Quando si parla di cambiamento climatico, si parla di un fenomeno che ha propaggini in ogni ambito dell’attività umana e coinvolge, modificandoli, equilibri economici, sociali e politici. Un esempio piuttosto significativo in questo senso ci arriva dal Canada, ed ha a che fare con i ghiacci del Polo Nord e le nuove rotte marine. Andiamo con ordine.
Nei giorni scorsi l’Office of the Auditor General del Canada, una sorta di commissione che elabora proposte da sottoporre al parlamento di Ottawa, ha pubblicato un report molto interessante, nel quale si sottolinea la necessità da parte del governo federale di rivedere lo stato del sistema di sorveglianza costiera di fronte alle acque artiche.
Di cosa si sta parlando? Il 75% delle coste canadesi si affaccia sull’Artico. In linea teorica si tratta di zone marittime nelle quali la navigazione è pressochè impossibile a causa del ghiaccio. In pratica, però, il cambiamento climatico degli ultimi 50 anni ha completamente cambiato le cose. Il livello dei ghiacci in quella zona, ricorda il report, nell’ultimo mezzo secolo è calato del 40%, con il risultato che dal 1990 al 2019 il numero di navi in transito in acque artiche canadesi è triplicato e la tendenza è per un ulteriore aumento nei prossimi decenni.
L’Auditor General, partendo da questi dati, lancia un avvertimento. Il traffico che si sta sviluppando su queste nuove tratte non è sotto controllo. Non si dispone di dati sufficienti, di rilevamenti satellitari puntuali e di infrastrutture adeguate. Si tratta di un problema non da poco, considerando le possibili implicazioni economiche, ambientali ma anche di sicurezza per il paese.
Lo sfruttamento delle nuove rotte artiche è uno dei tanti problemi collegati al cambiamento climatico. Russia, Canada, USA, Svezia, Danimarca, Finlandia, Islanda e Norvegia – come ricorda recentemente uno studio dell’ISPI – si dividono la competenza territoriale sull’area e sono le prime responsabili della regolamentazione di un passaggio che fa gola. Sempre citando i dati del documento curato da Angela Stefania Bergantino, basta ricordare come il passaggio Asia-Europa attraverso le acque dell’Artico è più corto rispetto all’attraversamento del canale di Suez (dal 30% al 50% più corto) e che le compagnie di navigazione puntano sul paradossale effetto derivante da questo accorciamento: la riduzione di quasi un quarto delle emissioni di gas serra emesse dalle navi.
Foto di Aline Dassel