L’attenzione delle banche centrali si sta concentrando sulla dinamica dei salari, potenziale catena di trasmissione per l’inflazione, ma anche problema di ordine sociale osservando alcuni dati.
Nell’ultimo bollettino economico la Banca Centrale Europea ha dedicato una particolare attenzione al tema dei salari. Nel documento si legge che da inizio pandemia la crescita dei salari nell’area Euro si è mantenuta moderata ed in linea con il trend storico. Un mercato del lavoro particolarmente “caldo” e l’inflazione, sostiene la BCE, non mancheranno di avere un’influenza anche sui contratti di lavoro, ragione per cui a Francoforte ci si attende che nei prossimi mesi il peso delle buste paga aumenti a ritmi sostenuti.
La crescita dei salari agli economisti della BCE (ma non solo a loro) fa subito venire in mente il collegamento con l’inflazione, ed in particolare quel meccanismo (discusso) che porta il nome di spirale inflazionistica e che, detta breve breve, significa un circolo vizioso nel quale ad un aumento dell’inflazione corrisponde un aumento dei salari che a sua volta influisce sui prezzi. La conclusione a cui giunge la BCE, sintetizzata nelle parole della governatrice Lagarde ma anche di altri esponenti di punta, è che occorrerà agire sulla politica monetaria ancora per un po’ di tempo, per evitare che un alto livello di inflazione diventi cronico.
Ma al di là del problema monetario, non vi è dubbio che il tema dei salari sarà centrale nel nuovo anno e gli indizi su questo fronte sono diversi. Stando ai dati elaborati dall’Organizzazione Internazionale del lavoro, nel biennio 2020-2021 il salario netto è sceso per tutte le fasce di reddito. Anche ai piani alti, i redditi più consistenti, quelli meno colpiti, la variazione cumulata del salario netto dall’ultimo trimestre del 2019 a fine 2021 è stata del -1.7%. In questo quadro già traballante si è andata innestando la crescita sostenuta dei prezzi, con l’inflazione che ha toccato picchi a due cifre in Europa, erodendo ulteriore potere d’acquisto per i lavoratori.
L’altro indizio che fa intuire quanto la problematica salariale sarà centrale nel nuovo anno arriva direttamente dalle relazioni tra lavoratori e datori di lavoro. In questo caso alcuni settori industriali sembrano più esposti di altri. La logistica, ad esempio, è uno dei punti caldi e considerando quanto la supply chain incide sui prezzi, la cosa getta ulteriori incertezze sul futuro dell’inflazione. Stando ai dati 2022 elaborati dalla società Crisis24, nel giro di un anno gli scioperi nei porti sono passati da 8 a 38. Altri episodi occorsi nell’anno appena terminato fanno intuire la delicatezza del momento: il blocco degli autotrasportatori in Corea del Sud, Argentina, Perù, Sud Africa; gli scioperi dei ferrovieri in Gran Bretagna e Canada; quelli dei lavoratori dell’edilizia sempre in Canada.
Nel 2023 – questa la stima di Crisis24, raccolta dall’agenzia Bloomberg – le agitazioni dovrebbero diminuire, ma una congiuntura economica che tenda al peggio potrebbe nuovamente far risalire le tensioni.
Foto di Mikhail Mamontov