La settimana delle tre grandi banche centrali ha messo in scena il confronto tra autorità monetarie e mercati finanziari, con i secondi che non sembrano credere alla permanenza di una politica restrittiva ancora a lungo.
Scena 1. Jerome Powell, governatore della FED, commenta il settimo rialzo dei tassi da parte della banca centrale nel corso dell’ultimo anno. Ammette che si, l’inflazione sta iniziando a scendere ma aggiunge che i tassi di interesse devono rimanere su livelli sostenuti per costringere i prezzi a scendere. I mercati nicchiano e sia le azioni che le obbligazioni continuano a salire.
Scena 2. Christine Lagarde ci va giù pesante. Non solo la BCE decide nella riunione di febbraio di alzare i tassi di 50 punti base, ma mette nero su bianco che un’azione della stessa portata sarà replicata anche a marzo. E se non bastasse la governatrice della BCE afferma gravemente che l’inflazione core continua a preoccupare e che per questo la politica monetaria dovrà lavorare ancora sodo per riportare il carovita nei pressi del target di medio termine. I mercati nicchiano e sia le azioni che le obbligazioni continuano a salire.
Per sommi capi quanto descritto è quello che è successo tra mercoledì e giovedì scorso, quando le principali banche centrali – inclusa la non citata Bank of England – hanno provato ad effettuare un pericolosissimo quanto contorto esercizio di mantenimento del piede su due staffe. Una sorta di pugno in un guanto di velluto che non sembra aver colpito i mercati finanziari. Perchè la volontà degli istituti centrali è quella di smorzare ogni minimo entusiasmo, di far capire da un lato che la discesa dei prezzi è iniziata e dall’altro che scatenare l’entusiasmo sui mercati finanziari – riversato sul gioco della domanda e dell’offerta di beni e servizi – può essere terribilmente controproducente e costringere l’autorità monetaria a proseguire oltre il programmato con una fase di stretta sui tassi. Il guaio, se così vogliamo definirlo, è che gli investitori pensano che quel molto lavoro ancora da fare sottolineato da Powell e Lagarde sia solo un bluff per raggiungere il secondo obiettivo: calmare un’ondata di entusiasmo sui mercati.
Quando autorità monetarie e mercati finanziari si mettono a giocare a poker, la situazione diventa estremamente pericolosa. Ma questo non è altro che uno degli effetti collaterali del periodo di alta inflazione che stiamo vivendo: una vera e propria erosione di credibilità delle banche centrali. Un recente studio di tre economisti olandesi – anticipato sul sito del CEPR – fotografa il grado di fiducia dei cittadini olandesi nei confronti della Banca Centrale Europea. Il sondaggio mostra come tra chi è più esposto all’inflazione (e quindi ha livelli di inflazione percepita più alti) la fiducia nella capacità “calmante” della BCE sia decisamente scarsa. Tra chi ha un livello di inflazione percepita superiore al 30%, ad esempio, hanno una propensione alla fiducia dell’autorità monetaria inferiore di 24 punti rispetto alla media. Senza contare che per il 70% degli intervistati è compito del governo gestire l’inflazione; mentre il 50% cita la banca centrale tra i poteri in grado di controllare il carovita.
I prossimi mesi saranno delicatissimi per gli istituti centrali. Dopo aver esagerato con il termine temporaneità, i mercati – e gli investitori – non sarebbere teneri di fronte ad un nuovo errore di valutazione.
Foto di Herbert Bieser