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Inflazione, quando la politica fiscale affianca quella monetaria

Quando si discute di inflazione gli occhi sono tutti rivolti alle banche centrali, ma la politica monetaria non va lasciata da sola, una politica fiscale responsabile può ridurre i tempi della fase restrittiva e far bene ai conti pubblici.

Quando si parla di inflazione il pensiero corre veloce alle banche centrali ed alla politica monetaria. Come sosteneva il premio nobel Milton Friedman, l’inflazione è sostanzialmente un fenomeno monetario. Ma ci può essere un ruolo attivo anche per la politica fiscale?

L’inflazione è l’aumento generalizzato dei prezzi ed i prezzi aumentano sostanzialmente per due motivi principali: l’aumento della domanda di beni e servizi o la riduzione dell’offerta di beni e servizi. La politica monetaria è efficace soprattutto nel primo caso; aumentare i tassi di interesse significa, detto in maniera rapida e semplificata, ridurre la moneta a disposizione di imprese e famiglie al fine di indurle a consumare un po’ meno. Raffreddare la domanda aggregata è infatti il metodo pirncipale che si utilizza per far si che i prezzi scendano.

Anche la politica fiscale ha i mezzi per influenzare le dinamiche della domanda aggregata. E se tradizionalmente si tende a vederla come uno strumento di supporto, di espansione della domanda, occorre però anche ricordare che una politica fiscale restrittiva (o meglio responsabile) può aiutare la politica monetaria nel suo impegno di mantenimento della sostenibilità dei prezzi. Il concetto non è nuovo, e se ne è cominciato a parlare all’indomani dello scoppio della crisi pandemica: la collaborazione fra politica fiscale e monetaria non può più essere elemento estemporaneo ma deve acquisire caratteristiche di strutturalità nelle nostre economie.

Tobias Adrian e Vitor Gaspar hanno recentemente pubblicato i risultati di una simulazione che aveva come scopo quello di misurare gli effetti, sull’inflazione e sul debito pubblico, di una politica coordinata tra autorità monetaria e fiscale, volta a contrastare l’aumento dei prezzi.

L’esperimento, descritto in un articolo comparso nel blog del Fondo Monetario Internazionale, considera due economie e due scenari: un primo scenario nel quale la lotta all’inflazione è condotta solo dall’autorità monetaria; un altro nel quale si intrecciano politica monetaria restrittiva e consolidamento fiscale (ossia tenere a bada il deficit e ridurre il debito pubblico). Nel primo scenario lo sforzo della politica monetaria attraverso il rialzo dei tassi porta con sè un aumento dei costi del servizio del debito; inoltre i rendimenti più elevati attirano investitori esteri, apprezzando la valuta.

Nel secondo caso la politica fiscale restrittiva tende a raffreddare la domanda riducendo la quantità di rialzi dei tassi di interesse necessari, mantenendo i costi del servizio del debito meno esosi e, attraverso un deficit primario più basso o addirittura azzerato, riduce anche lo stock di debito pubblico.

Lasciar fare tutto alla politica monetaria, quindi, può risultare controproducente, allungando i tempi di rientro dell’inflazione e mettendo sotto pressione i conti pubblici. Viceversa, una politica fiscale attenta alla riduzione del deficit (quindi spendendo meno e meglio, se volessimo riassumere in uno slogan) riduce lo sforzo necessario alla politica monetaria e raggiunge un secondo obiettivo molto importante: la riduzione del debito pubblico.

Foto di John Hain

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