I dati dell’ultimo DHL’s global connectedness index fotografano un commercio internazionale che continua a crescere malgrado le tante turbolenze. Cambiano le relazioni tra USA e Cina.
Il commercio internazionale ha continuato a crescere nel dopo pandemia, malgrado i tanti nuovi intoppi che l’economia globale ha incontrato negli ultimi due anni. Questo è il messaggio centrale dell’ultima edizione del DHL’s global connectedness index, l’indice elaborato dal gigante tedesco della logistica sullo stato di salute degli scambi internazionali di beni e servizi. Parlando di numeri il report evidenzia come, a metà 2022, il volume globale di merci scambiate fosse del 10% superiore a quello dell’immediato pre-pandemia. Livello quest’ultimo già superato nei primi mesi dello scorso anno dal settore servizi. In ritardo, sempre stando ai numeri del report DHL, rimane solo lo spostamento delle persone. I viaggi, infatti, sono rimasti sotto ai livelli pre-pandemia anche nel 2022. La tendenza generale è per un ulteriore miglioramento anche nel corso del 2023, seppur con un ritmo più compassato.
Gli equilibri tra i grandi player mondiali sono certamente cambiati negli anni, ma non così tanto come ci si sarebbe potuti aspettare. Basta guardare, in primis, al rapporto tra Stati Uniti e Cina. Considerando i movimenti di merci, informazioni, capitali e persone, il report mostra come dal 2016 ad oggi gli scambi tra i due paesi sia andati rallentando. I flussi verso gli USA sono passati dal 17.8% al 14.3% del totale dei flussi dalla Cina verso l’estero; per quelli statunitensi si è passati dal 9.3% al 7.3%. Pur in presenza di questa sensibile riduzione, i volumi di scambi tra i due paesi hanno toccato nel 2022 il valore record di 690 miliardi di dollari e la connessione tra USA e Cina rimane ancora oggi la più importante al mondo.
I dati, continua il report DHL, non sembrano al momento delineare una polarizzazione del commercio internazionale verso due blocchi contrapposti. Gli scambi dei partner statunitensi con la Cina sono scesi in sei anni di appena due decimi (dall’8.8% del totale all’8.6%), mentre quelli tra partner cinesi e Stati Uniti sono passati dal 40% al 38% del totale. Piccoli aggiustamenti che, almeno per il momento, fanno pensare ad una globalizzazione che tenta di resistere.
Foto di Karsten Wachtmann