Il Fondo Monetario Internazionale ha pubblicato nei giorni scorsi l’aggiornamento di primavera del proprio outlook, rivedendo al ribasso le stime di crescita globale. Si tratta del secondo “allarme” nel giro di una settimana che arriva dall’istituto diretto da Kristalina Georgieva.
Partiamo innanzitutto dai dati. L’economia mondiale dovrebbe crescere nel 2023 del 2.8% e nel 2024 del 3%, vale a dire un decimo in meno di quanto previsto nella precedente stima di gennaio. Numeri nettamente inferiori rispetto al biennio 2021-2022, quando il PIL mondiale crebbe rispettivamente del 6.1% e del 3.4%. Sul fronte dell’inflazione la tendenza è per un calo (nel 76% dei paesi analizzati i prezzi al consumo saranno in calo rispetto al 2022), ma il ritmo della discesa dei prezzi risulterà piuttosto lento. Nel 2023 l’inflazione è attesa al 7%, quattro decimi in più rispetto alla precedente stima, ma in calo rispetto all’8.4% del 2022; nel 2024 l’inflazione dovrebbe assestarsi al 4.9%. Per la maggior parte dei paesi analizzati, aggiunge l’FMI, i tassi di crescita dei prezzi rimarranno superiori ai target delle banche centrali almeno fino al 2025.
Sin qui i dati. Ma quali sono le motivazioni che hanno portato a questa revisione al ribasso delle stime di crescita globale? Pierre-Olivier Gourincha, il capo economista del Fondo, ha dichiarato che esistono sia nel sistema finanziario che in altri ambiti dell’economia delle “lurking vulnerabilities“, ossia delle vulnerabilità in agguato. Crepe capaci, se non adeguatamente stuccate, di peggiorare sensibilmente il quadro macroeconomico mondiale. E le vulnerabilità del sistema finanziario sono le più pericolose, tanto da essere al centro della simulazione di scenario presentata dal Fondo Monetario Internazionale.
Nello scenario più favorevole i rischi di crisi finanziaria vengono tenuti sotto controllo, ma a scopo prudenziale si verifica una riduzione dell’erogazione di credito. Questo si tradurrebbe, calcola il report, in una crescita globale al 2.5% nel 2023, il tasso di crescita più basso dal 2001 (escluso il periodo pandemico e la crisi del 2009). Nello scenario peggiore (a cui il Fondo attribuisce una probabilità del 25%) la crisi finanziaria si espande riducendo la capacità di crescita mondiale sotto al 2% (un percentuale che non si registra dagli anni 70 dello scorso secolo).
Se quello finanziario è il rischio più evidente, il Fondo monetario avverte che altri fattori possono far deragliare la crescita mondiale di quest’anno. Un aggravamento della crisi in Ucraina e una ripresa dell’economia cinese più debole del previsto possono deteriorare ulteriormente il quadro.
Dicevamo di come quello appena raccontato sia il secondo campanello d’allarme lanciato dall’FMI nel giro di una settimana circa. Partecipando ad un convegno a Washington, infatti, la direttrice Kristalina Georgieva ha snocciolato numeri poco lusinghieri anche sul medio termine. Il mondo, complice la politica monetaria restrittiva, le tensioni geopolitiche ed una sempre più evidente frammentazione economica, si avvia a registrare un tasso di crescita medio annuo per i prossimi 5 anni del 3%. Si tratterebbe, ha spiegato la Georgieva, del peggior tasso di crescita dal 1990, 8 decimi in meno rispetto alla media degli ultimi due decenni.
Illustrazione di Pete Linforth