Il Social Progress Index, un indicatore sul grado benessere di un paese escludendo la metrica del PIL, ci dice che l’Europa rimane una zona privilegiata, ma che in generale la crescita del “buon vivere” sta rallentando.
E’ oramai convinzione diffusa che interpretare il grado di benessere presente in un’economia, considerando solamente la produzione di ricchezza, è estremamente riduttivo. Il PIL pro capite, da solo, non spiega molto delle dinamiche della ricchezza all’interno di un paese, non tiene conto di paramentri come l’accesso ai servizi essenziali, la libertà personale, la salute e molti altri.
Un tentativo di superare l’equazione PIL in crescita uguale a maggior benessere generale è stato fatto dall’ONU. Il suo Human Development Index aggiunge ai dati sul PIL indicatori relativi all’istruzione ed alla salute. L’organizzazione no-profit Social Progress Imperative è andata ancora più oltre, creando un indice di progresso sociale basato su 52 parametri; e tra questi il PIL non c’è.
Il Social Progress Index (SPI) prende in considerazione tre grandi aree di indagine: l’accesso ai beni necessari come acqua e cibo; lo sviluppo umano nel lungo termine (educazione e salute); ed infine le opportunità (diritti e grado di libertà personale). L’analisi è condotta annualmente per 170 paesi sparsi per il globo. I risultati dell’edizione 2022 sono stati pubblicati qualche settimana fa.
La classifica – pubblicata tra l’altro anche dall’Economist – vede in testa la Norvegia, con molti altri paesi europei nei piani alti del ranking. Come per molte altre graduatorie l’Africa sub-sahariana accumula ritardi consistenti rispetto alle altre zone geografiche, con il Sud Sudan all’ultimo posto della graduatoria.
In generale la classifica sembra indicare che una correlazione positiva tra ricchezza prodotta e grado di benessere c’è, e lo testimonia il forte balzo nel periodo 1990-2020 dei paesi dell’area del Pacifico e del sud est asiatico, guidati dalla crescita della classe media cinese. Ma non si tratta di una correlazione così forte come si potrebbe pensare. In Cina, ad esempio, in trent’anni il PIL pro capite è aumentato di 11 volte, ma l’SPI è salito solo del 45%. Nello stesso periodo gli USA hanno registrato la miglior crescita del PIL nel gruppo del G7, ma nella classifica redatta da Social Progress Imperative occupano l’ultima posizione tra le 7 grandi economie.
La crescita del benessere in molti paesi è però spesso frutto di un compromesso. In molte realtà il miglioramento dell’accesso ai beni primari si è accompagnato ad un deterioramento delle condizioni di libertà e dei diritti, una indicazione che non può non far tornare alla mente i risultati del Democracy Index raccolti negli ultimi anni.
Continuando ad analizzare il trend nel lungo periodo, il Social Progress Index ci dice che dopo un periodo di forte progresso tra gli anni 80 e 90 dello scorso secolo, il grado di benessere nei paesi analizzati ha iniziato a salire con un ritmo più compassato, con anche qualche preoccupante passo indietro. E’ il caso, ad esempio, degli Stati Uniti il cui punteggio – anche a causa della pandemia – è andato peggiorando negli ultimi anni. O dello stallo dei paesi dell’America Latina.
Foto di Michelle Raponi