L’applicazione della carbon tax si fa sempre più vasta. La tassazione delle emissioni dannose pare essere sempre più uno degli strumenti principali per tentare, quasi disperatamente oramai, di centrare l’obiettivo zero emissioni entro il 2050.
Recentemente il parlamento europeo ha approvato l’applicazione di una carbon tax sui paesi extra UE che importano prodotti e servizi nel blocco, il nuovo balzello entrerà in vigore dal 2026 e per almeno otto anni. Dall’altra parte dell’oceano, e precisamente in Canada, la carbon tax federale applicata sui carburanti è salita nell’aprile scorso di 14 centesimi al litro.
Quelli appena citati sono solo due esempi di come la tassazione delle emissioni dannose stia evolvendo nel contesto internazionale. A riassumere la situazione sull’applicazione della carbon tax a livello globale ci ha pensato nei mesi scorsi la World Bank con il suo annuale report sull’argomento. Gli introiti derivanti dalla tassazione delle emissioni dannose ha toccato il nuovo record storico, raggiungendo la considerevole somma di 95 miliardi di dollari. Un risultato che assume ancora più valore se consideriamo il periodo macroeconomico che stiamo vivendo. Se oramai due decenni fa la percentuale di emissioni coperte da carbon tax o da sistemi di scambio di quote di emissione (ETS) era del 7%, oggi i 73 strumenti censiti dalla Word Bank coprono quasi un quarto delle emissioni totali.
Se le grandi economie avanzate rimangono dominanti sulla scena della tassazione delle emissioni, il report sottolinea i progressi fatti dai paesi emergenti in materia. Non solo, paesi come l’Australia, l’Indonesia e l’Austria hanno messo a punto nuovi sistemi di ETS e nei prossimi anni sono attesi importanti passi avanti da realtà come la Malesia e la Turchia.
Maggiori sono gli introiti e maggiori sono le possibilità per i governi di incanalare risorse verso l’utilizzo dell’energia pulita e ridurre gli effetti inflattivi che l’applicazione di questi sistemi di tassazione potrebbero determinare.
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