Un interessante ipotesi sulle conseguenze della diminuzione della popolazione mondiale arriva dalla Gran Bretagna. Una popolazione ridimensionata può avere effetti positivi sui salari reali ed aumentare la qualità della vita.
Secondo i dati delle Nazioni Unite la popolazione mondiale nei prossimi decenni tenderà a diminuire. Un fenomeno già visibile in alcune economie avanzate come Giappone, Italia e Germania, ma che entro il 2050 interesserà altri paesi quali Spagna, Francia e Gran Bretagna.
Le motivazioni alla base di questo trend sono molte. Nei paesi più ricchi il tasso di fertilità delle donne è drasticamente diminuito ed è salita l’età media alla quale si ha il primo figlio. Condizioni lavorative non sempre concilianti con la vita familiare e costi sempre più alti per il mantenimento della prole non fanno altro che accentuare il problema e frenare ancora di più la voglia di genitorialità.
Come si diceva in precedenza, tra i paesi che nei prossimi decenni dovranno affrontare il tema del calo demografico c’è anche la Gran Bretagna. E proprio dalla Gran Bretagna arriva uno studio che se da un lato conferma le implicazioni negative di un calo demografico sulle casse pubbliche, dall’altro ne mette in luce un aspetto poco considerato, o forse considerato solo sotto il punto di vista dell’inflazione.
Il paper, pubblicato sul Journal of the Economics of Ageing, è opera di David Miles dell’Office of Budget Responsability (OBR) e prende in considerazione l’evoluzione della popolazione britannica nell’ultimo decennio e le tendenze entro il 2070. Se da 2011 al 2021 la popolazione è aumentata di 4 milioni di persone, la previsione per il 2070 è di una riduzione di circa 1 milione. In termini di conti pubblici, spiega il paper, questa riduzione si trasformerà in un ammanco da 250 miliardi di sterline entro la metà degli anni settanta del secolo. Un calo della popolazione significa anche un calo della forza lavoro e di conseguenza minori entrate fiscali e contributive. Se a questo si aggiunge il trend (ad oggi ancora intatto) in aumento della vita media, con relativo aumento di spese sanitarie e pensioni, lo sbilancio per i conti pubblici è facilmente intuibile.
Ma ecco l’altra faccia della medaglia, quella che lo studio porta a galla e che molto probabilmente negli ultimi anni abbiamo considerato solo in maniera parziale. Miles lo spiega in maniera molto efficace. La diminuzione e l’invecchiamento della popolazione mondiale hanno un effetto “calmante” sulll’inflazione e di conseguenza possono essere un corroborante per i salari reali. Meno nascita significa, spiega Miles, meno investimenti pubblici e privati in nuove case, scuole, infrastrutture e servizi. In altri termini la diminuzione della popolazione fa diminuire anche la componente di spesa in beni capitali. Questo significa avere più risorse per i consumi ed un livello della qualità della vita migliore.
A ben vedere un’esperienza in tal senso sembra esserci: il Giappone. Qui il calo della popolazione è inesorabile da dieci anni a questa parte. Nello stesso periodo, però, il PIL pro capite è salito di quasi 8 punti percentuali, lo stesso tasso di crescita della Francia, paese dove la popolazione è ancora in aumento.
All’effetto sui redditi reali, aggiunge Miles, occorre tenere in conto anche di altri elementi, quali il minor inquinamento, spazi più ampi a disposizione, prezzi delle abitazioni più basse. Insomma in pochi è meglio verrebbe da dire. Un punto di vista decisamente interessante.
Foto di Jill Wellington