Dopo un corposo rally i mercati azionari frenano su aspettative di tassi di interesse “higher for longer”, così a brillare sembra essere soprattutto la confusione.
Cosa sta succedendo sui mercati azionari? La scorsa settimana lo S&P500 ha lasciato sul terreno il 2.92%, mentre il Nasdaq ha perso oltre il 3%. Le cose non sono certo andate meglio al di qua dell’oceano, con l’EuroStoxx 50 a chiudere l’ottava con un -3.45%. Numeri decisamente pesanti in un mese, settembre, che si appresta a chiudere abbondantemente con il segno rosso sul fronte azionario.
Per completare il quadro, ed allo stesso tempo cominciare a rispondere alla domanda iniziale, basta dare uno sguardo ai rendimenti dei principali titoli di stato. Il decennale statunitense ha chiuso settimana scorsa con il rendimento salito del 2.34%, portandosi sui massimi dal 2007 ad oggi; lo spread tra i Treasury a 10 anni e quelli a 2 anni staziona in territorio negativo stabilmente dal luglio del 2022, ma nelle ultime settimane è leggermente risalito; il rendimento del Bund a 10 anni ha guadagnato il 2.43%, chiudendo la terza settimana di rialzo consecutiva e riportandosi su livelli che non si vedevano dal 2011.
Smaltito l’entusiamo per l’Intelligenza Artificiale e per il superamento del picco inflattivo, agli investitori sono cominciati a sorgere nuovi dubbi sulla capacità dell’economia mondiale di reggere il colpo di tassi di interesse così alti per così lungo tempo. Si, perchè le dichiarazioni dei governatori delle banche centrali nelle ultime settimane hanno avuto come tema centrale quel “higher for longer” che tanto preoccupa i listini azionari. E così sui desk operativi dei grandi broker fanno bella vista i dati sulla differenza tra posizioni lunghe e corte dei trader. Il loro net-leverage (dati Goldman Sachs, fonte Bloomberg) è sceso in una settimana di quattro punti percentuali e non accadeva dai tempi della pandemia. Allo stesso tempo si registrano movimenti interessanti anche nel mondo degli Hedge Funds con un aumento delle scommesse al ribasso, specie sui settori che più hanno beneficiato del rally dei mesi scorsi.
La fase è decisamente di quelle risk-off, come conferma anche l’analisi di KBMeter sulle principali asset class globali. La preferenza degli investitori va al momento per la liquidità (spinta dai rendimenti in rialzo) e per l’oro. Operativamente la neutraltà sull’azionario ed il fissare rendimenti sull’obbligazionario (ne parleremo a breve in un altro post…) sono le condotte più ragionevoli al momento. Alcune considerazioni possiamo però farle.
- Secondo molti gli effetti dell’aumento dei tassi sull’economia reale sono ancora nella loro fase embrionale e solo nei prossimi mesi si potrà capire l’esatta condizioni di imprese e famiglie. La cartina al tornasole sarà come al solito l’accoppiata trimestrali/consumi, ed è da quei numeri che si potrà capire se e quanto rallentamento dovremo attenderci per il 2024. E da qui quanto a lungo dovremo sorbirci tassi alti.
- L’euforia sui mercati finanziari può diventare benzina per l’inflazione. Le banche centrali lo sanno bene, ed è anche per questo stanno aggiustando la loro comunicazione in modo tale da smorzare gli entusiasmi senza tirare troppo la corda.
- Come da qualche anno a questa parte, sui mercati azionari si vive un po’ alla giornata, aspetto che alimenta la confusione, mentre la politica monetaria si addentra in territori inesplorati e quella fiscale deve fare i conti con alti livelli di debito e rientro dalla fase espansiva innescata dalla pandemia. Così capita che quello che sembra chiaro come il sole una settimana, diventi oscuro enigma la settimana successiva. Nessuno al momento è in grado di dire se l’inflazione tornerà sui target delle banche centrali o se il livello neutrale dei tassi di interessere si alzerà in maniera strutturale.
Foto di Gino Crescol