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Proteggersi dall’inflazione, azioni od obbligazioni?

Per far fronte all’inflazione è meglio investire in azioni o in obbligazioni? La domanda è di quelle che valgono parecchio e la risposta non sembra così semplice da trovare.

Quando un investitore valuta la bontà del proprio portafoglio dovrebbe sempre ragionare in termini reali, vale a dire che alle percentuali di rendimento annuo messe in bella mostra su report di consulenti e banche andrebbe sottratto il tasso di inflazione. Un esercizio che spesso non si fa, con il rischio di vedere il proprio capitale perdere valore nel tempo anche in presenza di rendimenti positivi.

La semplice formula matematica suggerisce, quindi, che il rendimento del nostro portafoglio dovrebbe almeno eguagliare il tasso di crescita dei prezzi per mantenere intatta la dotazione iniziale. Ma a quali strumenti occorre affidarsi per fronteggiare l’inflazione, alle azioni od alle obbligazioni? Oro o materie prime?

Per molti anni si è andati dicendo che la migliore copertura all’inflazione sono le azioni. E giù a mostrare serie storiche che effettivamente mostrano rendimenti dei listini surclassare i dati sull’inflazione. Ma in un mondo che sta drasticamente cambiando sarà ancora così? Qui occorre interdersi sull’orizzonte temporale a cui ci si riferisce. Forse nel breve periodo le cose non cambieranno più di tanto, ma nel lungo?

Secondo i dati elaborati da JPMorgan Chase & Co nel suo recente aggiornamento delle capital market assumptions, nell’arco di tre anni il mercato azionario statunitense non genererà ritorni entusiasmanti, con la volatilità che si manterrà troppo elevata per poter confermare i rendimenti previsti. In questo arco temporale, suggerisce la ricerca utilizzando un approccio bayesiano per incorporare anche l’esperienza passata, i rendimenti più interessanti si avranno nel reddito fisso, in particolare per i mercati europei ed emergenti.

L’idea che i rendimenti dell’azionario nei prossimi decenni possano essere molto meno esaltanti rispetto a quanto visto sino ad ora, non è così remota tra gli analisti. Lo S&P500 negli ultimi 10 anni ha raccolto un rendimento medio annuo del 12.39%, oltre due punti in più rispetto alla media storica del 10.7%. Ma le stime dei principali gestori fatte ad inizio 2023 indicano per i prossimi 10 anni un incremento dell’equity USA attorno al 7%/8%. Tutti numeri che vanno considerati al lordo dell’inflazione.

Tutto questo non significa certo che l’azionario sia da buttare, ovviamente. Ma quello che forse dovremmo cominciare a mettere in conto è che la gestione dei nostri portafogli dovrà essere necessariamente più attiva, cominciando ad inglobare elementi fino ad ora marginali, come ad esempio il mercato delle materie prime (primo e vero hedge contro l’inflazione), ed aumentando considerevolmente la diversificazione, anche quella geografica.

Foto di Pexels

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