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Rieccolo! Il dollaro forte è di nuovo tra noi

Dopo una pausa tra fine 2022 e inizio 2023 il dollaro forte è tornato protagonista sui mercati finanziari, con il suo carico di effetti contraddittori per l’economia mondiale.

Negli ultimi tre mesi il Dollar Index, l’indice che mette a confronto il dollaro con un paniere di altre valute, ha fatto registrare un guadagno di 3,28 punti percentuali, ritornando ben al di sopra della soglia dei 100 punti e puntando nuovamente ai record fatti registrare nella seconda metà del 2022. Così il cambio dollaro/euro è passato da 0.88 di metà luglio a quota 0.94; quello tra il biglietto verde e lo yen è balzato del 3% nel giro di tre mesi e via discorrendo.

Dollar Index - Il rally degli ultimi tre mesi. Fonte grafico: tradingview.com
Dollar Index – Il rally degli ultimi tre mesi. Fonte grafico: tradingview.com

Insomma, dopo la breve pausa a cavallo tra la fine del 2022 ed il primo semestre di quest’anno, il dollaro forte è tornato, e con esso tutti i vantaggi e le complicazioni che ne conseguono. Ad alimentare questo ritorno in grande stile è stata anche l’impennata dei rendimenti dei titoli di stato statunitensi e le aspettative che possano crescere ancora. A questo si aggiunge una generale rivalutazione della liquidità nei portafogli degli investitori dettata anche da una situazione di incertezza sulle sorti dell’economia in molte aree del globo.

Parlavamo di vantaggi e di complicazioni derivanti dall’avere sui mercati finanziari un dollaro USA estremamente forte. E questo è un punto molto importante, anche in ottica di aspettative. Una moneta forte significa molto spesso vantaggi per il mercato domestico e svantaggi per la domanda estera. Il caso USA non fa eccezione, anzi è forse quello più calzante vista la grande importanza per l’economia a stelle e strisce della domanda interna. Un dollaro forte significa prezzi delle importazioni più bassi e questo ha ripercussioni positive sul tasso di inflazione e di conseguenza sui consumi. Quindi da un lato facilita le cose alla politica monetaria e può contribuire alla tenuta della domanda interna.

Ma i vantaggi finiscono sostanzialmente qui. Le grandi multinazionali, infatti, devono fare i conti con profitti in valuta estera che si fanno più leggeri e più in generale gli esportatori USA vedono diminuire l’appeal dei loro prodotti a causa di un prezzo decisamente più alto. Non solo. Un dollaro forte ha ripercussioni importanti anche sul resto del mondo, perchè in dollari si pagano le principali materie prime e molti governi, specie delle economie emergenti ed in via di sviluppo, emettono obbligazioni in valuta statunitense per renderle più appetibili. La prima conseguenza è una spinta inflattiva che si ripercuote sui consumi, la seconda un aumento degli esborsi per pagare gli interessi sul debito emesso in valuta estera.

E spesso non si tratta di conseguenze temporanee, specie per le economie emergenti. Un recente studio del Fondo Monetario Internazionale, curato da Maurice Obstfeld e Haonan Zhou, suggerisce che gli effetti di un dollaro forte sulle economie emergenti possono durare anni, rallentando la domanda interna, gli investimenti e la spesa pubblica.

Con le banche centrali alle prese con un difficile fine tuning tra rialzo dei tassi e mantenimento in vita della crescita economica, gli spazi di manovra monetari per far fronte a questa prova di forza del biglietto verde sono stretti e molti istituti hanno messo mano alle riserve in valuta estera per cercare di contrastare i recenti rialzi. Il cerino in mano rimane alla FED e più in generale all’economia USA, solo un allentamento della stretta monetaria, conseguenza di una inflazione tornata sotto controllo e di una crescita che si fa più modesta, potranno cambiare sensibilmente lo scenario.

Foto di Gerd Altmann

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