I dati sul mercato del lavoro USA nel mese di novembre lasciano una sensazione di incertezza tra gli analisti. Da un lato ci sono ritmi di crescita più compassati, ma dall’altro le dinamiche salariari rischiano di rallentare il cammino di discesa dell’inflazione.
Venerdì 8 dicembre sono stati pubblicati i dati sul mercato del lavoro USA nel mese di novembre. Si tratta di numeri che indicano un rallentamento della crescita dei nuovi occupati compatibile con l’ipotesi di una soft landing per l’economia statunitense. Successivamente, nella giornata di martedì scorso, il quadro è stato completato con la diffusione del report sull’inflazione nel mese di novembre. Un uno-due che ha agevolato la decisione della FED di mantenere la posizione e rimanere sull’attuale configurazione di politica monetaria per un altro giro. Ma cosa ci dicono più in particolare i dati su mercato del lavoro del mese di novembre? In estrema sintesi ci suggeriscono che la strada che porta ad un primo taglio dei tassi di interesse negli USA (dei tre ora previsti dal dot plot della FED per il 2024) nasconde ancora qualche insidia. Vediamo alcuni dettagli.
Nel mese di novembre negli USA sono stati creati 199 mila posti di lavoro, un dato superiore alle attese, in crescita rispetto al mese precedente anche se al di sotto della media registrata fino ad ora per il 2023. In altri termini la crescita dei posti di lavoro, tenuto conto anche dell’ondata di scioperi di novembre, continua ad un ritmo che è si in calo, ma ancora al di sopra di quello del periodo pre-covid. Letta così sembra una marcia trionfale, ma occorre pesare il dato tenendo conto di due elementi: la fine degli scioperi nel settore auto ha significato un aumento dei posti di lavoro (nuovi solo a livello statistico) pari a 30mila unità; il 70% nei nuovi posti di lavoro sono stati creati nei settori della salute (pubblica e privata) e della pubblica amministrazione, vale a dire in settori scarsamente influenzati da inflazione e politica monetaria. In estrema sintesi: la crescita di posti di lavoro nel mese di novembre non può essere considerata conseguenza di un’economia che marcia a vele spiegate. Ma, attenzione, nemmeno un segnale di una potenziale recessione in arrivo.
La FED dal canto suo, continua a monitorare la situazione sul fronte della crescita dei salari. Il ragionamento del board è molto semplice: l’inflazione è domata (anche) se il tasso di crescita dei salari è compatibile con il target del 2%. I numeri di novembre cosa ci dicono? La crescita della paga oraria su base mensile è stata dello 0.35%, mentre su base annua la variazione è scesa poco sotto la soglia del 4%, numeri compatibili con il concetto di crescita sostenibile ma a patto che nei prossimi mesi si assista ad un ulteriore frenata degli aumenti (al momento sembra essere questa la linea prevalente nel board della banca centrale). Ma se utilizziamo un dato meno volatile, vale a dire il tasso a tre mesi annualizzato al netto dei salari percepiti dai dipendenti di livello manageriale, le cose cambiano sensibilmente: la variazione mensile sale al 0.4% e quella annua accelera al 4.2% dal 3.2% del mese precedente. Accelerazioni che, se confermate nei prossimi mesi, rischiano di deviare pericolosamente dal percorso virtuoso intrapreso.
Con l’inflazione che negli ultimi mesi sembra raffreddarsi a ritmi molto più compassati ed un mercato del lavoro che lancia segnali misti, la posizione “dovish” presa della banca centrale statunitense ieri sembra potersi spiegare con la volontà da parte del board di evitare episodi di recessione; anche ridando entusiasmo ai mercati finanziari. Per molti analisti, comunque, il momento per un primo taglio dei tassi sembra ipotizzabile verso metà del prossimo anno.
Foto di StartupStockPhotos