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Roubini e l’impatto delle elezioni USA sull’economia globale

Per l’economista Nouriel Roubini le elezioni USA di novembre sono il principale rischio geopolitico del 2024 con un potenziale effetto stagflazionario sull’economia globale.

Le primarie statunitensi hanno dato i loro responsi. Nel primo martedì del prossimo novembe saranno l’attuale presidente Joe Biden e l’ex inquilino della Casa Bianca Donald Trump a sfidarsi per diventare il 47° presidente degli Stati Uniti. E non c’è dubbio che la sfida elettorale americana rimane uno dei principali catalizzatori economico/finanziari del 2024. Un po’ per l’incertezza che ancora aleggia attorno ad entrambe le candidature, un po’ per le imprevedibili conseguenze di una vittoria del GOP.

A parlarne è stato recentemente anche l’economista Nouriel Roubini, che dalle colonne di Project Syndicate si è soffermato sulle conseguenze per l’economia globale di una vittoria di Trump alle prossime elezioni USA. Per “Dr Doom” la complicata situazione geopolitica internazionale fino ad ora ha avuto effetti transitori sull’andamento dell’economia globale. La guerra in Ucraina, il conflitto mediorientale e le tensioni tra Cina e Taiwan sono le manifestazioni più evidenti di un mondo tornato più che mai diviso e conflittuale (ammesso che ci sia effettivamente stato un periodo di distensione e collaborazione), ma rimangono al momento in una condizione che le rende, a livello economico, non troppo impattanti.

Secondo Roubini questa sorta di stasi può essere fragorosamente spezzata dall’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump e della sua politica ultra protezionistica. Ed è per questo che le elezioni americane rappresentano il maggior rischio geopolitico internazionale. Tre sono per l’economista statunitense i temi caldi sui quali una presidenza Trump potrebbe incidere con particolare decisione: i rapporti con la NATO, il commercio internazionale ed il debito pubblico statunitense.

Sul primo punto la lettura di Roubini è la seguente: a Trump non converrebbe tanto abbandonare l’Ucraina al suo destino (operazione che lancerebbe segnali errati alla Cina sulla questione Taiwan), quanto pretendere un maggior contributo economico dai membri europei dell’alleanza. Ed è su questo punto che la corda può spezzarsi.

Sul fronte del commercio internazionale le promesse elettorali repubblicane sono piuttosto chiare: più dazi sui prodotti importati per sostenere l’economia “locale”. Un’applicazione “dura e pura” di questo principio non farebbe altro che scatenare una nuova ondata di guerre commerciali con effetti sulla crescita economica e sull’inflazione (leggasi rischio stagflazione).

Infine una politica fiscale basata sul taglio delle tasse e sull’aumento della spesa pubblica in deficit può complicare ulteriormente il già delicato equilibrio dei conti pubblici statunitensi ed incidere sulla qualità dei titoli sul debito pubblico USA, alzando i rendimenti e ponendo seri rischi alla stabilità finanziaria globale.

Foto di Pexels

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