Sfondo scuro Sfondo chiaro

Sondaggio BofA tra ottimismo e quel segnale di vendita sull’azionario

Il sondaggio BofA di ottobre registra un marcato ottimismo tra gli investitori ma sottolinea un segnale di vendita che arriva dalla riduzione della quota di liquidità in portafoglio.

Il trimestre che ci siamo lasciati alle spalle un paio di settimane fa è stato per i mercati finanziari una sorta di fiera della volatilità. Con gli investitori attenti ad ogni singolo dato macro in grado di influenzare le scelte delle banche centrali, abbiamo assistito a cambi di scenario degni di un film da premio Oscar. Così lo S&P500 è stato in grado prima di perdere più di 8 punti percentuali mandando il VIX ai massimi dal 2020, poi di recuperare rapidamente toccando nuovi record storici all’indomani del maxi taglio dei tassi da parte della FED. Questo capita in un periodo storico nel quale il “data driven” sembra il mantra, ma la sua applicazione di brevissimo termine rischia di far venire il mal di mare.

E adesso qual è la situazione? Per provare a capirci qualcosa è sempre utile partire da uno sguardo ai dati raccolti dalla Bank of America nel suo mensile appuntamento con il Global Fund Manager Survey; e quelli di ottobre sono particolarmente interessanti. L’ottimismo degli investitori ha registrato una crescita che non si vedeva dal giugno del 2020, grazie alla combinazione di tre elementi: FED, stimoli monetari cinesi e dati macro USA. La quota di azioni in portafoglio è salita al 31% (tre volte la percentuale del mese precedente), mentre quella in obbligazioni è scivolata al 15%.

In questo assetto da massiccio risk on, sottolinea il sondaggio, la percentuale di liquidità nei portafogli gestiti è scesa al 3.9%, un risultato che per BofA suona come un campanello di allarme, un segnale di vendita nel tripudio di ottimismo; e non è l’unico. Statisticamente, infatti, dal 2011, ogni volta che il tasso di liquidità è sceso sotto la soglia del 4% l’azionario ha perso in media 2,5 punti percentuali nel mese seguente e 0.8 punti nel trimestre seguente alla comparsa del segnale.

Dicevamo che questo non è l’unico segnale discordante. L’altro elemento che salta all’occhio in questi giorni è l’andamento del VIX. L’indice che in qualche maniera dovrebbe misurare il grado di preoccupazione degli investitori nell’azionario USA è salito nelle ultime settimane, posizionandosi in zona 20 punti. Un livello che stona con l’impostazione rialzista dello S&P500 e che potrebbe indicare una qualche nota di diffidenza da parte degli investitori rispetto all’euforia generale. Diffidenza che deriverebbe dal ponderare i rischi che ancora aleggiano sull’economia statunitense: crisi geopolitica, inflazione, elezioni presidenziali.

Intanto la stagione delle trimestrali è iniziata con l’oramai consueto exploit delle banche statunitensi. Le stime attualmente prevedono per le società appartenenti allo S&P500 una crescita media degli utili attorno al 4.4% su base trimestrale, in calo rispetto al periodo precedente. È utile ricordare – dati Facset – che solo in tre occasioni negli ultimi 10 anni il tasso di crescita reale si è rivelato più basso di quello atteso. Sembra probabile, quindi, che i conti del terzo trimestre possano dare ulteriore spinta al rialzo, ma con differenze settoriali marcate.

Foto di StockSnap

Resta aggiornato

Gli ultimi articoli di Ekonomia.it direttamente nella tua casella mail. Iscriviti qui sotto.
I dati trasmessi attraverso questo modulo sono trattati secondo la nostra privacy policy, in linea con la normativa vigente. Per nessun motivo verranno ceduti a terze parti o utilizzati per l'invio di messaggi di natura commerciale.
Post precedente

Gran Bretagna, inflazione sui minimi dall'aprile del 2021

Post successivo

BCE, nuovo taglio dei tassi su buoni dati inflazione

Pubblicità