Un recente studio pubblicato su VoxEU getta nuova luce su un aspetto controintuitivo del dibattito climatico: l’esperienza diretta di un disastro naturale non porta necessariamente a una maggiore consapevolezza condivisa sull’urgenza della crisi climatica. Anzi, sembra accadere l’opposto: vivere eventi estremi, come uragani o incendi, tende ad amplificare le divisioni politiche esistenti.
Milena Djourelova, Ruben Durante, Elliot Motte ed Eleonora Patacchini hanno analizzato un vasto campione di dati provenienti da Stati Uniti ed Europa, esaminando il modo in cui persone con orientamenti politici diversi interpretano i disastri naturali. Il risultato? Tra coloro che si identificano come progressisti o liberali, l’esperienza di un evento climatico disastroso porta spesso a un aumento della preoccupazione per il cambiamento climatico: circa il 50% degli intervistati in questa categoria dichiara di aver rivisto al rialzo la propria percezione del rischio climatico. Tuttavia, tra i conservatori o scettici, la stessa esperienza non solo non sembra produrre lo stesso effetto, ma rafforza ulteriormente la convinzione che questi eventi siano scollegati dal riscaldamento globale. In questo gruppo, meno del 10% collega i disastri al cambiamento climatico, e una percentuale significativa riporta addirittura un calo nella percezione del rischio.
Questo meccanismo, spiegano gli autori, è radicato nei filtri ideologici con cui interpretiamo il mondo. L’esperienza personale non è mai neutrale: viene rielaborata attraverso il prisma delle nostre convinzioni politiche, dei media che seguiamo e dei messaggi trasmessi dai leader di riferimento. Per esempio, negli Stati Uniti, stati politicamente “blu” (democratici) e “rossi” (repubblicani) mostrano reazioni diametralmente opposte agli stessi tipi di eventi estremi.
Ma cosa significa tutto questo per la lotta al cambiamento climatico? L’idea che l’esperienza diretta di un disastro naturale possa agire da “campanello d’allarme” universale sembra vacillare. Se vivere un uragano distruttivo o un’ondata di calore da record non riesce a creare consenso, diventa evidente quanto sia urgente lavorare sulla comunicazione pubblica e sull’educazione climatica. L’obiettivo deve essere quello di costruire una narrazione che superi le divisioni ideologiche e favorisca un dialogo inclusivo.
La sfida, tuttavia, è enorme. In un mondo sempre più polarizzato, anche il cambiamento climatico rischia di essere percepito come un tema divisivo, anziché come un’urgenza condivisa. Forse, il primo passo è proprio riconoscere quanto sia difficile cambiare la percezione del rischio quando questa è così profondamente intrecciata con l’identità politica.
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