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Come si risponde ai dazi? Con una politica monetaria espansiva

I dazi riducono in modo inefficiente gli incentivi privati al consumo di beni importati, e per controbilanciare questo effetto, la politica monetaria deve essere espansiva. Questa la conclusione di un interessante studio di Javier Bianchi e Louphou Coulibaly

Da qualche settimana a questa parte c’è una parole che è tornata prepotentemente d’attualità nel dibattito economico: dazi. A ridarle vigore è stata naturalmente l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti. Il suo programma economico, infatti, prevede un massiccio utilizzo dei dazi come strumento di negoziazione con i partner economici internazionali. Qualche assaggio di tutto ciò lo abbiamo già avuto, con le prime “minacce” lanciate verso il Messico, il Canada e la Cina.

Ma gli eventuali dazi statunitensi non preoccupano solo chi in quel paese esporta beni e servizi. L’aumento dei prezzi delle importazioni può avere conseguenze importanti sul fronte dei prezzi al consumo e quindi rinfocolare quell’inflazione che la FED sembra sia al momento riuscita a domare.

Eccoci al punto: inflazione e banca centrale. Come si può rispondere ad un improvviso e consistente aumento dei dazi imposti dal proprio paese sulle merci e sui servizi importati? The Optimal Monetary PolicyResponse to Tariffs di Javier Bianchi (Federal Reserve Bank di Minneapolis) e Louphou Coulibaly (Università del Wisconsin-Madison e NBER) prova a dare una risposta a questa domanda e lo fa suggerendo un comportamento controintuitivo.

L’idea diffusa è che di fronte ad uno shock tariffario la banca centrale debba mantenere la sua concentrazione sull’andamento dei prezzi interni, sostanzialmente disinteressandosi dell’aumento di quelli delle importazioni causato dall’aumento dei dazi. Ma per Bianchi e Coulibaly l’atteggiamento giusto è un altro: adottare una politica monetaria espansiva.

Il ragionamento è sottile. La perdita derivante dall’aumento dei prezzi dei beni importati viene sovrastimata dai consumatori e porta ad un disequilibrio tra acquisti di beni domestici e acquisti di beni importati. Se è vero che le tariffe aumentano i prezzi, è anche vero che l’aumento dei ricavi delle tariffe derivante da un incremento delle importazioni fa aumentare il reddito individuale. Compito della politica monetaria, in questa situazione, dovrebbe essere quello di stimolare l’acquisto di beni importati, surriscaldando l’economia con una politica monetaria espansiva.

Riassumendo, poiché il costo privato dei beni importati aumenta ma quello sociale no, la strategia ottimale è mantenere elevato il consumo di beni importati attraverso una politica espansiva. Detta in altre parole ancora: le tariffe riducono in modo inefficiente gli incentivi privati al consumo di beni importati, e per controbilanciare questo effetto, la politica monetaria deve stimolare l’economia.

La simulazione eseguita sul modello neo keynesiano elaborato dai due autori, mostra come l’aumento delle tariffe porti in primis ad un aumento dell’inflazione sui beni prodotti internamente (per lo squilibrio che si descriveva prima). Nel tempo, però, adottando una politica monetaria espansiva, l’inflazione si stabilizza, l’economia registra una crescita della produzione e si forma anche un surplus commerciale persistente.

Calato nell’attuale scenario economico, l’idea di Bianchi e Coulibaly è che la FED, a fronte di uno shock tariffario voluto dalla nuova amministrazione Trump, acceleri sui tagli dei tassi anzichè frenare. Chissà se dalle parti di Liberty Street questo paper è in bella mostra su qualche scrivania che conta.

Foto di Alexander Fox | PlaNet Fox

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