A poco più di una settimana dalla fine del 2024, lo S&P500 veleggia attorno ai 6mila punti e con un rendimento da gennaio scorso di oltre 20 punti percentuali. Il Nasdaq, nello stesso periodo, ha portato a casa un guadagno di superiore ai 30 punti percentuali.
Sono numeri importanti che raccontano di un anno decisamente favorevole per l’azionario statunitense e che però si va chiudendo con qualche grattacapo. La benzina che ha fatto muovere l’ultimo rally è stata un mix di aspettative economiche e politiche. Gli investitori scommettono su un’economia statunitense in grado di continuare a crescere in maniera robusta, sostenuta da un’ulteriore riduzione dei tassi di interesse e da una politica fiscale ultra accomodante da parte della nuova amministrazione Trump. Ma se fino a questo momento gli effetti collaterali del combinato disposto riduzione dei tassi/politica fiscale espansiva, vale a dire il rischio di riaccendere l’inflazione, sembravano rimanere fuori dai radar degli operatori, la reazione alle decisioni della FED rischia di incrinare l’entusiasmo degli investitori.
Gli ultimi dati del sondaggio Bank of America sembrano confermare quanto appena scritto. Per il campione di gestori intervistato dalla banca statunitense, infatti, il cavallo vincente in questo momento continua ad essere l’azionario USA. Tre sono i dati più ecclatanti: la percentuale netta di posizioni in sovrappeso sull’equity statunitense è salita al 36%; mentre la quota media di liquidità in portafoglio è scesa al 3,9%; il rapporto tra l’esposizione sull’azionario statunitense rispetto a quella sull’azionario europeo ha raggiunto i massimi dal giugno del 2012.
Se per quel che riguarda il primo dato si tratta di un massimo record, nel caso della liquidità il discorso si fa ancora più interessante. A riduzioni così importanti della liquidità in portafoglio, notano da BofA, sono storicamente seguire delle importanti correzioni sull’azionario. Come ricorda l’agenzia Bloomberg, dal 2011, ogni volta che si è presentato questo segnale “contrarian” sulla liquidità, l’azionario ha poi perso due punti percentuali abbondanti nei mesi successivi. Si tratta di un segnale già verificatosi a ottobre scorso, all’indomani della prima riduzione dei tassi da parte della FED e replicato ora a dicembre all’indomani dei risultati elettorali e dei dati sull’andamento dell’inflazione.
Secondo il panel dei 171 gestori intervistati, il 2025 dei listini azionari sarà influenzato da due grandi catalizzatori: la Cina e i dazi. Una robusta ripresa dell’economia cinese è considerata come la variabile bullish più pesante per il prossimo anno; viceversa, una guerra commerciale a colpi di dazi è vista come la peggior nemica dell’azionario nell’anno che verrà.
Foto di Moondance