La politica internazionale è spesso un gioco complesso fatto di strategie, minacce e compromessi. Una delle tattiche più controverse, ma anche più affascinanti, è la cosiddetta Madman Theory. Questo approccio trova le sue radici nel pensiero di Niccolò Machiavelli e ha avuto applicazioni notevoli nel corso della storia, da Richard Nixon a, forse, Donald Trump. Ma questa strategia è davvero calcolata o si tratta di un comportamento istintivo? Per rispondere, è necessario partire dall’inizio.
Nel suo celebre trattato Il Principe, Niccolò Machiavelli sosteneva che un leader dovesse essere tanto temuto quanto rispettato, ma soprattutto abile nel manipolare le percezioni degli altri. Tra le sue intuizioni più acute emerge l’idea che simulare irrazionalità possa essere una strategia politica efficace. Un principe che si mostra folle o imprevedibile costringe i suoi nemici a muoversi con cautela, temendo reazioni sproporzionate e difficili da prevedere.
Questo principio, sebbene elaborato nel contesto del Rinascimento italiano, ha trovato una nuova vita nella politica moderna. La sua applicazione più famosa è probabilmente quella di Richard Nixon durante la Guerra Fredda.
Durante il suo mandato, Richard Nixon adottò esplicitamente la Madman Theory come strategia nella politica estera. L’obiettivo era chiaro: convincere i leader dell’Unione Sovietica e del Vietnam del Nord che fosse capace di qualsiasi azione, persino di scatenare un conflitto nucleare, se provocato. “Fate sapere ai nordvietnamiti che Nixon è ossessionato dalla vittoria”, dichiarò il presidente ai suoi collaboratori. L’idea era che la paura di una reazione imprevedibile avrebbe portato i nemici a cedere.
Un esempio concreto di questa strategia si verificò nel 1969, quando Nixon ordinò un’allerta globale delle forze armate statunitensi. Bombardieri armati di armi nucleari volarono vicino ai confini sovietici, inviando un messaggio chiaro: “Potremmo fare qualcosa di folle.” Questo approccio si basa sui principi della teoria dei giochi, dove la credibilità di una minaccia è determinante per influenzare le decisioni dell’avversario. Se un leader appare disposto a rischiare tutto, le sue minacce diventano più convincenti.
La Madman Theory è strettamente legata al “gioco del pollo” (Chicken Game), una variante del dilemma del prigioniero nella teoria dei giochi. Questo gioco prevede due giocatori che si sfidano in una situazione di confronto diretto, ad esempio guidando a tutta velocità l’uno verso l’altro su una strada. Ogni giocatore ha due scelte: sterzare (rinunciare) o mantenere la rotta (sfidare).
- Se entrambi sterzano, nessuno perde molto, ma la loro reputazione ne risente.
- Se uno sterza mentre l’altro continua, chi mantiene la rotta vince, mentre chi sterza subisce una sconfitta.
- Se nessuno sterza, entrambi si schiantano, subendo le conseguenze più gravi.
La strategia della Madman Theory si colloca in questo contesto: simulando irrazionalità, un giocatore può convincere l’altro che non sterzerà mai, forzandolo così a cedere. Questo rende la minaccia più credibile e può portare a un vantaggio strategico. Tuttavia, il rischio è altissimo: se l’avversario non crede alla simulazione o decide comunque di sfidare, le conseguenze possono essere catastrofiche.
In un recente editoriale pubblicato su Bloomberg, lo spunto per questo post, Andreas Kluth sottolinea come i risultati dell’applicazione di questa “teoria del pazzo” non siano stati esaltanti. Nel 1969, scrive Kluth, nè i russi, nè i nordvietnamiti mossero un dito di fronte alle azioni provocatorie degli statunitensi.
Negli ultimi anni, molti analisti hanno suggerito che Donald Trump, consapevolmente o meno, abbia adottato un approccio simile. Con il suo stile politico imprevedibile, le sue dichiarazioni spesso incendiarie e le sue tattiche non convenzionali, Trump ha spiazzato alleati e avversari, facendo emergere paragoni con la Madman Theory.
- Commercio e tariffe: Un esempio emblematico è stata la guerra commerciale con la Cina. Trump ha minacciato e imposto tariffe elevate, alternando dichiarazioni di apertura a toni minacciosi. Il messaggio sembrava essere: “Posso distruggere l’economia globale se non accettate i miei termini.” Questa strategia, sebbene criticata da molti economisti, ha spinto la Cina a negoziare accordi commerciali più favorevoli agli Stati Uniti.
- Geopolitica e conflitti: Nel contesto geopolitico, Trump ha adottato atteggiamenti che possono essere interpretati come un’applicazione della Madman Theory. Nei confronti della Corea del Nord, ad esempio, ha alternato minacce di “fuoco e furia” a gesti diplomatici senza precedenti, come gli incontri diretti con Kim Jong-un. I risultati in questo caso non sembrano essersi concretizzati, visto che il regime nordocoreano ha continuato la sua politica sul nucleare e i rapporti con la Corea del Sud sono tornati tesissimi. Venendo alla stretta attualità, il suo comportamento verso i paesi coinvolti nelle guerre in Ucraina e a Gaza ha generato confusione e incertezza, lasciando gli avversari a indovinare le sue reali intenzioni.
Trump applica consapevolmente la Madman Theory o il suo comportamento riflette un istinto naturale a rompere le convenzioni? Non è facile dirlo, ma l’effetto è simile: crea caos, spiazza gli avversari e modifica le dinamiche del potere internazionale. Gli effetti di tutto questo, però, appaiono al momento poco prevedibili.
Mentre Nixon operava in un contesto bipolare dominato dalla Guerra Fredda, l’odierna politica internazionale è più frammentata e interconnessa. In un mondo globalizzato, simulare irrazionalità può avere conseguenze ancora più pericolose. La volatilità dei mercati finanziari, la proliferazione di conflitti locali e l’instabilità globale rendono questa strategia una miccia potenzialmente esplosiva; sia in geopolitica, sia in economia.
Inoltre, l’imprevedibilità potrebbe non essere sempre vista come un segno di forza. In alcuni casi, può indebolire la credibilità di un leader, alienando gli alleati e rafforzando i nemici.
Foto di Pete Linforth